sabato 11 maggio 2013

DIARIO missione - Arque e Tujsuma, Bolivia


Dove mi porta la luce del giorno,
dove lo sanno anche le stelle
forse nel mondo a scoprire l’amore.          Joe

  
Terra lontana mi cattura la mente
nasce nell’animo la voglia di amare
sapere seguire la voce del vento quando
in un attimo ti senti chiamare come un
pensiero che esce dal tempo, solo nell’alba
        di un giorno dorato. 
La mente mi porta alla terra lontana
nel cuore si sente la voce di ieri,
il vento profuma di noi.
... interminabili sentieri
strade già battute faticosamente ritrovate.
Il profumo di un fiore mi accompagna,
sapori di teneri amori,
segni di un cuore che batte: la vita sorride.              Joe

Amare donando 
In un contesto diverso dal nostro, nell’ incontro con un’altra cultura una delle prime parole che si impara nella lingua del posto e’ dire grazie, … a volte cerco di capire da dove tutto e’ partito: una data, un incontro, un' esperienza particolare, quale il primo passo di questo mio prendere il volo,… ma mi e’ difficile e così penso ad un cammino in cui tutte le persone incontrate e le esperienze vissute mi parlano, molti momenti belli tanto da sentirmi in debito e dire ancora una volta grazie!
Spero di avvertire sempre questo senso di gratitudine, il coraggio di dire grazie e la forza nel donare ciò che nella quotidianità ricevo.
La partenza e’ sempre un fatto provvisorio perché non dice ancora esperienza: tante le attese, i buoni propositi, le speranze, … e nei momenti un  po’ così mi fermerò a respirare più ossigeno, di quelle boccate gelide che ti toccano dentro e ti fanno sentire vivo, l’aria frizzante e tersa dell’alta quota, una spinta in più che mi aiuterà ad ossigenare mente e cuore e a dare ancora una volta energia e palpito di vita al mio cuore capace di amare semplicemente donando!

…. E’ una sensazione strana.
 Ricordo in Italia quando ricevevo lettere da amici e missionari impegnati in terra di missione era sempre una grande gioia. Le lettere rimanevano sulla mia scrivania non perché passavano in secondo piano, ma semplicemente perché avevano bisogno di un loro tempo, un momento tutto mio per gustare ed assaporare ogni parola, per leggere e rileggere scoprendo ogni volta un particolare che forse nella primissima lettura mi era sfuggito.
Ora sono qui e sapere di dover scrivere dal sud del mondo mi emoziona un po’. Tante le impressioni e i pensieri, domina qualcosa di strano, a me che piace scrivere e’ come se ora le idee rimanessero chiuse nella mente, le parole fanno fatica a prendere la strada del foglio.
Supero questo timore e do via libera alle parole, mi viene naturale scrivere e mi aiuta, mi avvicina, mi permette di condividere a distanza la mia esperienza con voi. 

Mercoledì 20 settembre 2006   partenza per la missione di Arque / Bolivia  (2006 / 2007) 
Eccomi in partenza, tutto sembra iniziare con il piede sbagliato.
A Linate non riescono a leggere il biglietto elettronico, il volo per Parigi e’ in ritardo di un’ora e se perdo la coincidenza per S. Paolo tra poche ore? Una strana tranquillità mi accompagna, c’e’ quasi da preoccuparsi. Finalmente tutto si sistema.
Il ritardo del volo mi regala l’ultimo tramonto italiano. Il sole e’ una palla di fuoco, troppo bella. La guardo come se volessi assorbirne il calore, la luce, l’energia e chissà portarla con me in questo nuovo cammino, e poi stupende le luci della sera sulle Alpi. Chiudo gli occhi, un pizzico di malinconia, il pensiero lascia le persone care e vola verso le comunità che mi aspettano, altre montagne, altri confini, altri volti, distanti ma illuminati dallo stesso sole, ….ed ecco ritornare in me il sorriso.


Mi hanno consigliato in questo mio andare di armarmi di tanta pazienza e a Santa Cruz vengo subito messa alla prova. Il volo per la città di Cochabamba e’ in ritardo e quindi slitta di due ore, mi dispiace perché Padre Luciano e Laura mi aspettano per le 19 circa e invece eccomi arrivare con ben due ore di ritardo. Ritiro le valigie, sbrigo le pratiche all’immigrazione e sono subito da loro. Abbracci, saluti, la tensione del volo e’ svanita.
Ce l’ho fatta e non mi sono persa nei vari scali internazionali, sono sfiancata, il mio stomaco nelle ultime tratte non ha retto e ha sboccato.
Mi “specchio” nel vetro del box dell’immigrazione, il mio volto e’ un po’ provato, ma sono contenta di essere qui.

Ci siamo tutti e partiamo per la comunità di Arque, destinazione della nostra missione.
Arriviamo alle tre di notte. Viaggiando di notte sulla strada asfaltata in uscita dalla città di Cochabamba solo qualche cane che sfida in corsa il nostro Toyota, gruppetti di persone fuori dai locali, musica a tutto volume. Allontanandoci dalla città incrociamo camion, lunghissimi, tipo modello americano anni settanta, arrancano sulla strada carichi di sassi, legname, container, fanno transito verso Oruro o La Paz, faticano a salire; la media e’ di appena  30 km l’ora , sbuffano fumo bianco e grigio che si dissolve nell’umidità’ della notte, dal tubo esce ad intermittenza, come se prendessero fiato e poi, fuori tutta! Procedono troppo lenti, gli stiamo appiccicati, danno il segnale con la freccia lampeggiante in segno che la strada e’ libera e via li superiamo.
Imbocchiamo la strada sterrata, il padre ferma l’auto, spegne luci e motore, siamo nel punto più alto. Il cielo e’ bellissimo, tante stelle, un groviglio di stelle, un concentrato di perle che illuminano la notte, non c’e’ luna e lo spettacolo e’ ancora più bello.

Aprendo il finestrino si sente il rumore del vento e l’odore della polvere, le stelle arrivano fino a toccare la strada, alcune cadenti tagliano il cielo, bisognerebbe esprimere un desiderio, non sono pronta mi perdo di fronte a tanta bellezza, …. solo nasce dal cuore la gioia di dire grazie!







22 settembre 2006      Visita a Juan             

Decidiamo di camminare. Con las Hermanas andiamo a trovare Juan, un ragazzo che abita in una casetta di argilla e fango lungo il rio Arque. Juan e’ paralizzato in tutta la parte bassa del tronco e non ha più le braccia a causa di un grave incidente e’ stato travolto dal treno. Mi e’ stato riferito che tempo fa ad Arque passava il treno che collegava le comunità alla città di Cochabamba. Il fiume in piena e le continue inondazioni nel periodo delle piogge hanno danneggiato la linea ferroviaria.
Ora qua e là ci sono binari divelti, rotaie che si impennano verso il cielo, carrozze e vagoni arrugginiti, scheletri di metallo che nel paesaggio arido e ricoperto di sassi danno un profondo senso di abbandono.
Finalmente arriviamo da Juan, abita in una casetta semplice di una povertà disarmante: un letto, due sedie ed una televisione appoggiata su di un bidone di gasolina. L’ambiente e’ sporco e c’e’ puzza.
Juan ci accoglie con un dolce sorriso, indossa una maglietta a maniche corte, larga e sporca, le maniche coprono i moncherini ma non riescono a nasconderne il movimento; la sua gioia e’ grande, gli occhi e le espressioni del volto sono sereni, tutto il corpo (tronco) si muove come se volesse abbracciarci.
Ci sediamo accanto; con il capo si appoggia alla sbarra di metallo del letto e con un colpo di addominali si gira sul fianco per meglio guardarci.
Penso subito allo stato di abbandono in cui vive. In Italia per un disabile come lui la situazione si presenta difficile, figuriamo qui! Dipende per tutto da tutti, mi dicono che era stato assistito per alcuni mesi in una casa per disabili in città, ma a sua richiesta ha voluto tornare al campo perché i rumori di città a lui sono sconosciuti, qui invece riconosce il rumore del fiume che via via si alza, il passo dei bimbi che vengono a trovarlo, le voci amiche.
Parliamo tanto, e’ aggiornatissimo, la televisione lo informa su tutto ciò che accade, peccato che non sia lui a decidere i canali: infatti a distanza c’e’ un omino che ha il compito di manovrare le frequenze e quindi capita di passare dalle notizie del telegiornale al pianto delle telenovelas, dai messaggi pubblicitari al finale eroico di un film.
Parliamo della situazione del medio oriente, del papa e anche del clima che sta cambiando.
Più volte, senza fretta però, chiediamo se ha bisogno qualcosa, vorremmo aiutarlo senza fargli pesare la sua situazione, andrebbe lavato, pulito, ma oggi preferiamo ascoltarlo, fargli capire che noi siamo lì , che il nostro sguardo e’ attento e premuroso, che ci siamo accorti di lui, che può aver fiducia.
A volte e’ facile il rischio di una generosità immediata, in effetti vorremmo fare tanto ma oggi facciamo un passo indietro, sappiamo che il vero servizio non raggiunge soltanto i bisogni, ma deve saper accogliere la persona, non basta rendersi conto che lui e’ povero, ne’ aiutarlo, ne’ vederlo. E’ importante che Juan sia davanti a me persona, non basta aiutarlo, e’ bene prima cercare di costruire relazioni con lui.
Ora si e’ fatto tardi, gli do una carezza, ci salutiamo, muove le spalle come se ci volesse abbracciare, usciamo….. la televisione trasmette musica rap.
23 settembre 2006    El Dios humano y sencillo - comunidad de Chuimani   
Sveglia all’alba. Siamo diretti alla comunità di Chuimani. La comunità di Arque in cui vivo comprende una settantina di comunità.
La strada di sassi nel letto del fiume a tratti si perde e bisogna improvvisare. La schiena e’ messa a dura prova.
Non si vede casa, ne’strada, ne’ segni di vita, eppure procediamo, non e’ una strada senza uscita, c’e’ infatti (non so dove!) una comunità che ci attende.
Incrociamo alcuni campesinos, a volte appaiono così, mi sembra escano dal nulla perché non c’e’ niente, e’ mattina presto e per essere già qui chissà a che ora si sono messi in cammino. Carichiamo due persone, siamo sardine sul toyota, ma va bene anche così perché più si  e’ compressi più si attutiscono i colpi causati dal cammino dissestato.
Fermiamo l’auto nel letto del fiume, dobbiamo proseguire a piedi, non si vede nulla in lontananza e non capisco proprio dove stiamo andando, tanti perché e tante domande che rimangono nella mia mente. Muta procedo senza lamentarmi. Camminiamo e penso ancora dove stiamo andando, la quota ritma il respiro e il sole andino e’ uno “schianto”.
Arriviamo finalmente ad un belvedere, una piccola spianata con qualche casa e la chiesetta. Ad accoglierci un campesino e una signora.
Hanno già montato l’altare esterno alla chiesa, simile ad una nostra porta di calcio i cui pali sono ricoperti con l’aguayo, appeso c’e’ anche qualche fiore finto.
Ci raggiunge una signora anziana e ci mostra il braccio fasciato.
Dice di essere caduta, in effetti la parte che si intravede del braccio e’ molto gonfia. Le suore rifanno la fasciatura, probabilmente il polso e’ rotto, necessita una radiografia, si ma qui non c’e’ nulla!
Penso alla precarietà in cui vivono, tutto così sospeso e legato alla giornata. Oggi stai bene e domani? Oggi la mamma abbraccia il bimbo teneramente e domani basta una forte dissenteria con febbre per piangerlo!
Suonano la campana della chiesa, aspettiamo circa un’ora prima di iniziare la santa messa; ci raggiungono dai cammini più alti anche donne e bambini con al seguito le loro caprette, più tardi arrivano anche gli uomini. La comunità si e’ riunita. Celebriamo l’eucaristia, tantissimi bambini. All’interno della chiesetta con il tetto in lamiera il caldo e’ soffocante, però non manca la gioia, la comunità e’ in festa. Ed io che non avevo fiducia, mi ritrovo parte di una comunità che prega e canta in quechua, non e’ vero che non c’e’ nulla: e’ palpabile, e’ presente, hanno il Dio della vita, il Dio della speranza, qui a due passi dal cielo, el Dios humano y sencillo.… 

7 ottobre 2006     Frammenti di luce                   
Los cielos cuentan la gloria del Señor
Proclama el firmamento la obra de sus manos
Un dia al siguiente le pasa el mensaje
Y una noche a la otra se lo hace saber.
Questa sera c’e’ la luna piena, e’ grandissima ed illumina parte della mia stanza, fuori mi sono fermata a guardarla. E’ bello essere  qui e questa sera lo spettacolo e’ garantito.
Tornando dalla città, già nel tardo pomeriggio, percorrendo la strada sterrata lungo il fiume, la luna ci ha accompagnato fino a casa, ma ora a notte piena rivela tutto il suo splendore.
Mi accorgo come vivere in un contesto un po’ precario dove anche il tempo non e’ il nostro di minuti e secondi, ma il tempo della natura, con i ritmi della luce e del buio, dove e’ bene vivere il presente senza la fretta e l’ansia di programmare il domani, ecco in questa dimensione mi accorgo quanta gioia e carica può dare il sentirsi parte di questa immensa natura, paesaggi e spazi infiniti in cui sembra più facile “perdersi” che ritrovarsi. Fino ad ora, grazie a Dio, ci sto dentro bene, in questa dimensione dell’andare e dell’incontro, per me e’ un grande dono essere qui e cerco di cogliere tutta la ricchezza che ci sta dentro, anche i sensi si sono come risvegliati perché iniziano a vedere, a toccare, assaporare le gioie più semplici: la luce intensa, l’abbraccio dei bimbi, i colori, i profumi, la semplicità della gente, il sentirmi chiamare per nome, la pazienza e il sorriso dei bimbi che mi aspettano per darmi il loro sincero e timido buenas dias Giobanna , ecco questi e altri piccoli gesti danno spessore alla mia esperienza qui.
18 novembre 2006  Raccolta sassi
Sono nell’orto a lavorare quando mi raggiunge padre Luciano e mi chiede se voglio andare al rio a caricare pietre. Accetto.
Ci incamminiamo e lontano, un puntino nel letto del fiume, vedo il camion. Lì c’e’ gente. Stanno prendendo pietre per costruire un ponte lungo il cammino alto, il lavoro andrebbe ultimato prima dell’inizio delle piogge, sono giorni che il cielo e’ terso ed il sole picchia, e’ bene approfittare del bel tempo.
Nel vedere il camion così lontano e pensare di doverlo raggiungere a piedi, già mi viene male.
Continuo a camminare nel letto asciutto del rio seguendo di buon passo el padre sito che mi spiega che ogni famiglia partecipa alla costruzione con forza lavoro e così anche noi come parrocchia offriamo le nostre forze.
Ci avviciniamo al camion e nel cammino noto tante piramidi di sassi, alcune molto grossi. Da subito capisco  che il lavoro che mi aspetta e’ duro ma e’ importante e serve per la comunità, cammino e mi faccio coraggio.
Finalmente arriviamo. Salutiamo i campesinos: qualche uomo e tante donne. Osservo cosa devo fare, vedo le donne allontanarsi, scelgono i sassi nel rio e li portano alle piramidi in attesa che il camion si avvicini. Donne minute, giovani dal viso già scavato dagli anni, portano sassi pesanti, sono abituate alla fatica fin da piccole: sono loro che raccolgono le fascine di legna, accudiscono i figli, portano sacchi di patate per la vendita ai mercati, cuociono il pane, conducono gli animali al pascolo, e ancora una volta sono loro, le donne che mi dimostrano come offrire la loro fatica per un gesto di speranza: un ponte, un semplice ponte.
Lavoriamo, nessuno parla. Solo rumori di sassi e di respiro affannato (il mio!).Sassi ocra, grigi, rossi, rosa, levigati dall’acqua, scottano perché scaldati dal sole; oltre alla fatica un pizzico di timore per il pericolo di ritrovare scorpioni e piccoli serpenti.
Oltre alla paura di incontri pericolosi, ... anche il mio imbarazzo, io non riesco a portare pietre così grosse come quelle che le donne si caricano sulla schiena tenendo le mani dietro, pota! (espressione d’obbligo che ho imparato vivendo qui circondata da vari padri missionari di origine bergamasca). Non ci tento neppure, ogni tanto mi fermo a prendere fiato, un attimo di tregua.
Una campesina mi chiede se posso cargarle esta pietra (caricarle questa pietra), rispondo che purtroppo non ci riesco, chissà cosa penserà. Arriva il camion alle piramidi di pietra, ora bisogna caricarle nel cassone. Dal mucchio scelgo le più piccole.
Carichiamo e il padre missionario mi sorprende dicendomi che il lavoro non e’ ultimato, ora si va al ponte in costruzione, purtroppo il camion non ha il cassone ribaltabile e così e’ necessario pure scaricare il tutto.
Mi dispiace scegliere sempre le pietre più piccole, mi sento un po’ in colpa e così decido di portarne due. Penso che non sia importante la grandezza del sasso, il numero dei carichi che riesco a fare, importante e’ la presenza essere lì con loro, sentirsi parte di una comunità unita anche nel lavoro.
Penso che il sasso grande o piccolo che sia e’ comunque prezioso e ha valore, a volte la stabilità e l’equilibrio tra due pietre grandi e’ dato anche dall’incastro di un sassolino mas pequeno (più piccolo), speriamo che il lavoro di gruppo, la forza e la fatica si trasformino in gioia nel vedere realizzato un ponte solido che riesca a resistere alla forza dell’acqua.
In questi mesi di missione ho avuto modo di visitare alcune comunità in quota. I bimbi incontrati hanno le guance arse dal sole, il viso tagliato dal vento, gli occhi rossi ed e’ un continuo tossire.
Lungo la strada del ritorno, scendendo con la jeep lungo il cammino alto, incontriamo tanti bimbi, fermiamo l’auto e chiediamo perché non sono a scuola, e già la scuola, qui le priorità sono altre: raccogliere la legna, seguire le caprette al pascolo, accudire i fratellino,.. Ho visto bambini piccoli e cresciuti troppo in fretta che devono curare il fratellino tenuto sulla schiena avvolto nell’aguayo.
Penso a quale potrà essere il loro futuro, non mi sforzo di trovare le domande ai miei mille perché, per me ora e’ tempo di guardare, incontrare, imparare, osservare.
Mi piace la dimensione dell’essere in cammino, e’ importante per me andare incontro alla gente, così semplicemente camminando. Fermarmi, valorizzare ogni incontro, quando il quechua diventa un ostacolo e a volte basta un semplice saluto un sorriso sincero per accorciare le distanze e superare la timidezza, mi piace vivere la missione anche così, spendere tempo con le persone, farmi sorprendere dalla loro diversità ed accoglierle come ricchezza.
.... vita in missione: tanti gli incontri, esperienze e momenti particolari vissuti, tante le domande, la fatica. Mi ritrovo a fare cose e a vivere situazioni che non avrei mai pensato però ci sto dentro bene, credo che la missione mi fa essere un po’ più flessibile, aperta, non saprei bene come dire, fa cadere le paure, ti distacchi un po’ dalle cose, punti sulle persone e ogni giorno devi dare prove della fiducia in Dio che provvede agli uccelli dell’aria e ai gigli dei campi, ti senti uomo libero, totalmente disponibile all’amore di amare.
  
11 dicembre 2006   Immigracion                           
Armata di tanta pazienza, fiducia e un pizzico di umorismo, alcuni dei requisiti indispensabili per non sclerale mi presento all’immigracion per il carnet di permanenza boliviano. La mia pazienza e’ subito messa alla prova: la polizia mi richiede una foto con sfondo rosso da consegnare con altri documenti all’interpool, qui invece mi richiedono foto tessera con sfondo bianco, qualche minuto di attesa, il tempo necessario perché gli impiegati si consultino e ok, va bene anche sfondo rosso. Vado di prima mattina a prelevare il sangue per l’esame HIV, gli esiti saranno pronti la mattina seguente, torno per ritirare il referto, ma aime’ manca la firma del medico e così dovrò ripassare il giorno seguente. Recupero dopo alcuni giorni tutti i documenti e vado all’ufficio dell’immigracion ma purtroppo tutto inutile, gli uffici sono chiusi perché c’e’ manifestazione.
Torno a casa senza aver concluso nulla.
Un caro amico mi ha detto che tutto serve, anche le realtà burocratiche incasinate per vivere relazioni, esercitare la pazienza, cogliere sguardi e parole che rendono vive e presenti delle persone di fronte a noi, simpatiche o no, di aiuto o di stress, comunque da comprendere ed amare.

8 gennaio 2007   La croce del mondo          
Non c’e’ più la croce: camminare, avvicinarmi alla vetta, guardare in alto e non vedere più la croce mi da un senso di vuoto. Salgo di buon passo. La croce e’ piegata a circa mezzo metro dal suolo, piegata a novanta gradi, il metallo a tratti e’ nero come se fosse colato forse per l’effetto di un fulmine, chissà.




Così piegata mi da un senso di tristezza e dolore, mi sembra racchiudere tutti i dolori e le sofferenze del mondo, di quanti lottano ma non riescono ad alzarsi.

Le braccia si sono leggermente incurvate e distese, ora guardano il cielo, due braccia aperte desiderose di affetto, un abbraccio sospeso nel vuoto!







28 gennaio 2007     Disgrazia nella comunità di Fundacion              
Oggi e’ un giorno triste. Nella comunità di Fundicion c’e’ stata una disgrazia: la montagna ha scaricato pietre e terra travolgendo una casa, quattro le vittime: papà, mamma e due bimbi.
Le salme sono state deposte nel salone vicino al municipio di Arque. Arrivano tanti campesinos, i familiari hanno un mantello nero in segno di lutto. Tre salme sono disposte nelle bare, il bimbo invece e’ disteso su di un aguayo coperto da un lenzuolo, i piedini rimangono nudi. Nel locale vicino due uomini stanno costruendo la bara con assi grezzi, c’e’ tutta la comunità. Una donna anziana si avvicina alla bara e piange, piange, il pianto di una donna che ha perso il figlio, i nipoti, mi prende una cosa dentro, il suo grido di dolore e’ accompagnato dal picchiare del martello sui chiodi; anche la bara del piccolo ora e’ pronta.
Aiuto le signore a scegliere le foglie più grandi per preparare le corone, le leghiamo con un filo di lana, quattro corone per ogni bara, pitturano di bianco la bara del bimbo, i parenti distribuiscono alcol e foglie di coca, accetto le foglie di coca.
Mi chiedono se ho una macchina fotografica, dico sì e raggiungo la casa per prenderla.
Sono trascorse alcune ore, un uomo mi chiede se posso scattare alcune foto, acconsento, mi avvicino alle bare e scatto le foto, ma con grande sorpresa mi invitano a salire sul palco, le bare non sono ancora inchiodate, tolgono le corone e mi fanno cenno di avvicinarmi per scattare le foto ai volti, no, no, aspettate un attimo, ma perché , non posso, non sono pronta. Cerco nella sala qualcuno: la suora, il padre sito, un volto famigliare che mi dica cosa devo fare, non c’e’ nessuno.
I parenti delle vittime sono attorno alle bare, mi dicono: più vicino, più vicino!!
I volti sono gonfi, pieni di lividi, tutto e’ blu, i tratti sfigurati, il labbro rotto, non capisco quale sia il papà e quale la mamma tanto i volti sono sfigurati, scatto le foto, i parenti sistemano il capo, rimettono il cappello e chiudono la bara.
E’ la prima volta in vita mia a trovarmi di fronte alla morte. Morte violenta, improvvisa, innocente.
Ho terminato, tolgo il rullino e lo consegno ad un parente, non riesco più a capire l’ordine delle cose, che cosa devo fare, qualsiasi cosa che mi viene richiesta e’ vuota, sospesa, non ci sono con la testa, i miei pensieri sono tutti lì inchiodati come i chiodi nel legno della bara. Vorrei correre, gridare, liberarmi dalla rabbia e dal caos che ho dentro.
Ho bisogno di aria, esco .
Mi raggiungono i bambini che erano presenti nel teatro e mi fanno mille domande: come sono i morti, se i morti sono “vivi”, se domani saranno ancora lì e se saranno ancora immobili, .. basta!! Lasciatemi in pace. Poi mi fermo. Prendo un profondo respiro e con pazienza spiego loro che sono morti ma lassù nel cielo stanno vivendo e ci guardano, anche se sono distanti possiamo vederli di notte alzando lo sguardo, su’, su’ nel cielo, le stelle che brillano sono i loro occhi. 

4 febbraio 2007   Osservando i campesinos in piazza            
Oggi c’e’ tanta gente in piazza, sarà perché domani inizia la scuola e i ragazzi del pueblo sono rientrati da Cochabamba, sarà la bella giornata di sole dopo giorni di pioggia; mi godo la gente, mi godo la piazza con i suoi colori, i profumi, le voci, i suoni.
Sono seduta sulla panchina in pietra fuori dalla missione, sto riposando ma la mia mente e’ troppo impegnata a catturare particolari, immagini di vita quotidiana, così semplice, così lenta, così diversa dalla nostra.
Tante donne già di prima mattina sono arrivate fino a qui. Oggi e’ giorno di mercato, sono arrivate con i loro cesti, gli aguayo e i muli carichi di frutta e verdura.
La strada parallela alla piazza e’ lastricata, tutta in salita, … o discesa dipende dal lato che si prende. Osservo e mi sorprende la cura con cui le donne dispongono cipolle, pomodori, platani, patate, tutto ordinato in tante piccole piramidi; considerando la pendenza del cammino le ammiro per il lavoro di abilità e pazienza.
Vendono tutte le stesse cose, ma hanno una cura particolare e tanta attenzione, come se ogni donna vendesse prodotti in esclusiva. Tante mamme, tanti bambini. La merce e’ disposta per terra ai piedi degli alberi. Partiamo dal basso: all’angolo della piazza c’e’ un grande albero secolare. Qui c’e’ donna Domitilla.


Vive ad Arque, e’ proprietaria di una piccola bottega e sulla cerata azzurra oltre a verdura e frutta propone altri articoli: sapone, fiammiferi, carne secca, biscotti, gelatine, patatine tipo dixi giganti di colore verde, giallo, arancione, mais, gomitoli di lana, sandali, lamette, …di tutto e di più. Domitilla e’ robusta, suda anche in piena ombra, veste un grembiule con tante tasche, e’ una donna di mezza età. Quando mi vede mi saluta e mi chiamata vicino, Senorita venga,… inizia così a parlarmi dei figli lontani in Argentina e Italia, di quando ad Arque passava il treno con tutto il lavoro e gli scambi che offriva.
Domitilla vive sola, ogni domenica e’ puntuale, presente in piazza, ha il posto fisso: il grande albero. Tra le radici e il ciottolato della strada c’e’ un avvallamento e lei si siede li. Se hai bisogno ti da consigli direttamente dal suo trono, non si scompone, non si muove, consigli mirati come se conoscesse a distanza la qualità di ciascun articolo in vendita. E’ convincente, sa fare il suo mestiere, anche se ti fermi solo per guardare, alla fine finisci sempre per comperare qualche cosa da lei.

Salendo lungo la strada c’e’ dona Isabel, più minuta, discreta, anche il suo albero e’ più piccolo. In un giorno di mercato ho comperato da lei dei peperoncini, avevo nostalgia di spaghetti aglio, olio e peperoncino. Non conoscendo la proporzione quantità/ prezzo ho chiesto l’equivalente di un boliviano, non l’avessi mai fatto! Riempiva il sacchetto, penso non abbia mai venduto così tanti peperoncini in un solo istante, infatti ogni volta che mi vede mi domanda: Hermana quieres locotos?
Oggi e’ la domenica dei fichi. Le donne li hanno trasportati nelle ceste in vimini e disposti sul plastico azzurro, sono sedute a terra, la pollera copre le gambe. Sono mamme giovani, le guardo ed alcune mi sorridono. Hanno con sé il bimbo piccolo che adagiano nel canaletto di scolo (ora asciutto) dell’acqua che scende verso il fiume, come se disposti in una mangiatoia.
I bimbi piccoli sono tutti lì, giocano con un nocciolo, lo fanno scivolare nel canaletto e poi lo recuperano più in basso e corrono al punto di partenza e ripetono il gioco. Non servono tante cose, giochi preziosi, qualsiasi idea piace subito a tutti.

E’ quasi ora di ritirare la mercanzia e di rimettersi in cammino. Ora si e’ alzato il vento ed alcune donne si stanno preparando per tornare alla loro comunità. Le seguo con lo sguardo, hanno un passo lento dovuto al carico trasportato sulla schiena.
Arriva un uomo con un cavallo e tre muli. Lo aspettano alcune donne con i loro bulti pronti da caricare. Lascio carta e penna e decido di aiutarli. E’ la prima volta che carico un mulo. Sistemiamo i bulti, l’uomo mi passa una corda, devo prenderla da sotto la pancia del mulo; il vecchietto mi dice di stare lì così, lui intanto bilancia il carico, regola le corde, prepara i nodi,… io prego che il mulo non si arrabbi proprio ora: sono a portata di calcio, vedo che e’ calmo, abituato a questi tira e molla. Le donne mi precisano che devono tornare a Kara Kara e il carico deve essere fissato bene.
Ale’ abbiamo terminato.
Accompagno i miei amici per un tratto del cammino lungo il rio, io, tre donne, un uomo, un cavallo, tre muli e un cane.
Cammino con loro per un po’, poi decido di fermarmi e li saluto, mi invitano a prendere dei fichi.
Mi fermo ancora un po’ seduta sul muretto di contenimento del fiume e osservo i miei amici allontanarsi, tanti puntini colorati nell’aridità’ del rio, poi riamane solo il colore delle pietre del letto del fiume, ancora il vento, qua e là si alza la sabbia del fiume e sale, sale fino a sporcare l’azzurro del cielo. La gioia e’ con me. 

15 maggio 2007 Moto trial Alp Beta 250
Sveglia presto e partenza per la comunità di Tujsuma prendendo il cammino del rio e non la strada alta che richiederebbe quattro ore di auto.
Il cielo e’ azzurrissimo. Il mio abbigliamento a strati non riesce a sconfiggere il freddo pungente.
Subito il fiume, padre Luciano lo attraversa solo in moto, poi lascia la moto e viene di qua dalla riva a prendermi e mi aiuta ad attraversarlo. Sempre le solite regole: non guardare l’acqua e tagliarla in orizzontale con le spalle a monte, l’acqua mi arriva fino al ginocchio, sono quattro i punti del fiume da attraversare e tra una bagnata e l’altra, via si riparte in moto.
Sono un ghiacciolo, i piedi (calzo i sandali) non rispondono, sono quei momenti in cui pensi: chi me lo ha fatto fare, a questa ora sarei con i ragazzi del collegio e il buon giorno meno traumatico e più caloroso di quello che sto vivendo. Ale’, ale’ ultimo guado, lasciamo il rio e iniziamo a salire. 
Grazie alla mia statura ho un margine di alcuni centimetri sopra la testa di padre Luciano, anche stando seduta dietro riesco a vedere il cammino che non c’e’ e ciò che c’e’ e che mi aspetta.
Ad oggi la ruspa non e’ ancora passata a sistemare il cammino e il sentiero e’ veramente da inventare.
Tante buche, sassi, fango, e’ un vero percorso da trial e padre Luciano si sta divertendo, io non so bene come tenermi a lui, però se non lo abbraccio volo via e così lascio ogni timore ed imbarazzo e mi ancoro bene alla sua vita.
Dopo solo un’ora di moto non riusciamo più a salire, lasciamo la moto vicino ad un albero, stacchiamo la candela, zaino in spalla e via. Abbiamo intravisto il sentiero più in alto ma non sappiamo dove prenderlo decidiamo di tagliare il canalone salendo lungo la massamora ormai asciutta. E’ il fango che i vari canali di scolo dell’acqua durante il periodo delle piogge hanno trascinato a valle nel fiume.
Sono appassionata di montagna e so che non si deve fare così. Salire in verticale su un terreno così mi spezza le gambe, però ho fiducia e seguo fedelmente l’apripista.
Finalmente ecco il sentiero, incontriamo alcuni minatori che lavorano nelle miniere di stagno, ci fermiamo e parliamo un po’, sono organizzati in cooperative e confermano che c’e’ lavoro perché il prezzo dello stagno e’ salito di qualche dollaro.
Superiamo la comunità di Abra, siamo già in quota e come si dice in  gergo montanaro ora e’ solo avvicinamento. Si e’ alzato il vento, prendiamo un sentiero che … non c’e’, scendiamo lungo una pietraia, non c’e’ neppure la cacca delle capre segno che stiamo proprio inventando il cammino. Nessuno passa di qui, solo noi due miseri pellegrini che cercano di raggiungere il sentiero più basso.
Arriviamo a Tujsuma a mezzogiorno, alcuni campesinos avvisano le suore dicendo che sono arrivati due caballeros, pranziamo insieme e poi celebriamo la messa.


Le fatiche, il lavoro, la stanchezza, le gioie, gli insuccessi dei primi discepoli nell’annuncio della parola penso che siano un po’anche i  nostri. Le fatiche e le distanze da coprire, il condividere con la gente delle comunità, non tutto e’ così facile e immediato.
Cos’e’ che ci spinge ad andare, a cerca un cammino che non c’e’? Salire lungo canaloni e scendere per pietraie cercando un sentiero, cos’e’ che ci spinge al sacrificio di vivere ore di cammino in quota con il sole che picchia ed il vento che ti ubriaca?
Cos’e’ che mi muove dentro? Non lo so, non ho una risposta, però so che c’e’ qualcosa altrimenti non sarei neppure qui in quel della Bolivia.
Padre Luciano da bravo prete e uomo di fede più di me, e’ convinto: e’ lo Spirito di Dio che ci guida e ci orienta, e’ la gioia nel condividere la parola e la convinzione che e’ palabra de Dios, e nelle fatiche poi prevale sempre un senso di pace e serenità, irrompe la felicità, il dono della gioia, la stessa gioia che abbiamo provato al ritorno prendendo la moto e correndo lungo la strada di sabbia che affianca il letto del fiume, la stessa semplice gioia che ogni sera, nonostante la stanchezza ci fa gridare ancora una volta grazie! 

Giugno 2007
Silenzioso il passo di chi va a cercare              
Silenzioso il passo di chi va a cercare
E silenzioso il credo dell’amore,….
Ho camminato e sudato forte tanto da tremare, poi recuperato il fiato ho sentito in me il coraggio continuato. Biagio Antonacci da “C’e’ silenzio”.
Settimana di scuola corta. I professori che insegnano al collegio scendono in città per riscuotere lo stipendio e quindi la scuola riprenderà tra qualche giorno.
In questi giorni di vacanza mi piacerebbe ritornare a Tujsuma ma il cammino e’ lungo e a tratti si perde. Decido comunque di tornare ed il padre mi consiglia di fare il cammino insieme a Giancarla, Edgar, Edwin e Martin, alcuni dei ragazzi che vivono ad Abra ed ogni domenica mattina scendono a Arque e si fermano da noi al collegio per poter frequentare la scuola. Così ho deciso: li aspetto e terminata la scuola partiamo.
Mi spaventa il sole e il caldo del pomeriggio (partiremo verso le quattordici). Zaino leggero, qualche mandarino, del cioccolato da condividere, acqua. Ci aspettano quattro ore di cammino, appuntamento con le suore presso la comunità di Abra per il tardo pomeriggio.
Mi piace stare insieme ai ragazzi e dimostrare la mia amicizia e vicinanza anche così, insieme lungo la strada verso casa.
Attraversiamo il fiume tenendoci per mano: siamo in otto più un cagnolino che guada con noi, poi la corrente lo trascina giù giù lontano, ma ogni volta fortunatamente guadagna sempre la riva opposta e in un attimo ci raggiunge.
Lasciamo il rio e salutiamo i bimbi che hanno camminato con noi; le strade si dividono: noi a Tujsuma e altri ragazzi verso le loro case in altre comunità.
Giancarla nel nostro andare mi chiede più volte se desidero riposarmi, e’ molto attenta e premurosa.
Suggerisco di fermarsi più avanti, di decidere lei dove e quando; mi offre del pacai (frutto rinfrescante tipo fagioli rinchiusi in un tubero), le dico che ho dei mandarini e cioccolato da compartir.
Saliamo, saliamo, solo sassi, sole e fatica.
Giancarla mi parla della sua casa, degli animali: il toro, le pecore, le capre, il cane, in questi giorni di vacanza dovrà curarli, raccogliere anche la legna, lavare i vestiti, prendere l’acqua alla fonte, fare i compiti,…
Vedo delle piramidi d’oro, lei mi spiega che e’ avena e viene posta così per non farla bruciare al sole, solo l’avena più esterna e’ gialla e secca bruciata dal sole, mentre i fasci più interni rimangono protetti dal calore e quindi un po’ più verdi e di migliore qualità come foraggio per gli animali.
Mi parla della semina (a ottobre), del terreno che deve poi riposare alcuni mesi, conosce i ritmi della natura, dimostra un legame molto bello con la terra e gli animali, la stessa competenza e conoscenza che un nostro bimbo ha per i videogiochi ed il computer.
Continuiamo a salire. E’ curiosa, mi chiede com’e’ il cioccolato, se e’ largo o corto, se l’ho comperato in Italia o alla tienda, quanti boliviani ho speso per acquistarlo. Ok, le domande evidenti mi fanno capire che e’ tempo per fermarsi a riposare e condividere un buon cioccolato. Si avvicina anche Edgar seguito da Edwin.
Edgar mi indica la casa dei suoi nonni, lui e’ diretto là e aiuterà a raccogliere il trigo.
“por aqui’, por aqui” mi dicono i ragazzi indicandomi il cammino. Giancarla si ferma ed esclama: aqui’ hay agua!! Non capisco, sono perplessa, e così tutto secco, non mi resta che guardare e seguire i movimenti sicuri di chi qui vive e conosce tutti i segreti lungo il sentiero. La bimba solleva una pietra, sotto c’e’ la canna dell’acqua che porta acqua nelle varie comunità, toglie nel mezzo una spina robusta di quelle che bucano le ruote del jeep, la pressione fa zampillare l’acqua con un getto a mo di doccia, impossibile non resistere all’immediato refrigerio, tutti sotto la doccia felici di rinfrescarsi.
Saliamo ancora, siamo arrivati alla casa di Giancarla; lei ripartirà domenica mattina verso le cinque lungo lo stesso sentiero e venerdì pomeriggio puntuale passerà ancora di qui per tornare a casa e ridiscendere nuovamente domenica. 
Quante ore di cammino, quanti passi, quanta fatica e sacrifici vivono questi bambini per andare a scuola, penso ai nostri bimbi accompagnati in macchina fino all’entrata della scuola, avvolti in mille strati di vestiti ai primi freddi e gonfiati dagli zuccheri delle merendine più sfiziose, con cartella e corredo nuovo in linea con la moda ad ogni inizio di nuovo anno. Mi domando se sia meglio qui con tutta la precarietà e la semplicità del vivere alla giornata, o lì da noi con tante sicurezze e comodità che a volte distraggono dal valore vero delle cose, dove tutto sembra dovuto e le parole fatica e sacrificio per i più giovani sono di difficile comprensione.
Non lo so, a volte non basta neppure fermarmi a guardare il cielo stellato unico di Bolivia e perdermi nella bellezza dei paesaggi per trovare le risposte ai tanti perché, le mie domande rimangono, più preoccupante sarebbe non averne! 
Arrivo a Abra tardo pomeriggio, ci sono le suore ad aspettarmi; saluto Martin con il quale ho condiviso l’ultimo tratto di cammino, ogni fatica scompare, … mi fermerò a Tujsuma alcuni giorni, sono stanca ma felice.
Ultimi saluti, ultimi abbracci
Ultimi saluti, ultimi incontri, ultimi respiri profondi quasi per catturare qualcosa di prezioso e tenerlo dentro e portarlo con me, ancora lacrime.


30 luglio  2007 Ciaoooooooooooo!

Sveglia presto, non ho dormito nulla; la mia mente ricca di pensieri era sveglia, non voleva scollegarsi e riposare un po’.
All’aeroporto valigie e biglietto tutto ok, un lungo abbraccio, ancora lacrime, e’ ora e devo proprio andare. Ho superato i controlli, sono di qua dalla sala dei saluti, i vetri sono scuri, non riesco a vedere oltre, piango ancora, le persone mi guardano, a questo punto non vedo l’ora di partire!!
Arrivo a San Polo, freddo allucinante e in aeroporto c’e’ pure attiva l’aria condizionata, devo attendere circa tre ore per il prossimo volo, oltre a camicia e maglione indosso anche il cappellino, tanti i turisti italiani in coda davanti al terminal dell’Alitalia anche loro cercano di coprirsi come più possono.
Mi imbarco, c’e’ qualcosa in me che non va, non sto bene, forse perché sono due notti che non dormo, forse il freddo, forse lo stato d’animo contorto, sono passate solo tre ore di volo e già mi viene da sboccare: ho caldo, freddo, vedo delle luci strane, il rumore dell’aereo mi entra dentro e lo stomaco mi si contrae, … decisamente non sto bene.
Decido di chiedere aiuto, mi domandano se viaggio sola, se mi sono imbarcata a San Paolo o se ho alle spalle altre ore di volo, mi fanno bere coca cola con zucchero e due pastiglie, ma sono alte un centimetro e tonde come i bottoni del pigiama del nonno, sembrano due monete da un boliviano, a fatica mando giù. 
Dopo mezza ora ri vomito di brutto e addio pastiglie, sono già a quattro sacchettini.
Arriva anche il vice comandante con giacca nera con i gradi color oro, un bel uomo abbronzato con capelli corti bianchi, fosse solo per l’aspetto sarebbe per me un ottimo ricostituente, ma alla sua richiesta del mio passaporto e della carta di imbarco perde subito dieci punti nella mia tabella di giudizio. Perché vuole vedere da dove arrivo? Ho l’impressione di essere vista come un’appestata, mi chiede anche un recapito telefonico, penso: organizziamo una cenetta insieme? Macche’ qui mi vogliono controllare!! Dalla Bolivia, sì arrivo dalla Bolivia, ma non sto trasportando capsule di coca, ne virus di qualche malattia strana, dai ora basta domande, lasciatemi in pace!
Mi assistono fino a Parigi e mi chiedono se sul tratto per Milano voglio l’assistenza. Rifiuto, prima di scendere mi consegnano i documenti, ho tanta sete e lo stomaco mi brucia.
Sul cielo di Milano sbocco ancora, ormai non ho più nulla nello stomaco sono solo forti contrazioni, mi fanno male gli addominali tanto che dopo l’atterraggio, quando mi alzo, per un istante non riesco a rimanere diritta. E dire che ho preso dei voli senza turbolenze, così tranquilli e lineari, miiiii non ci crede nessuno. Ho all’attivo ben sette sacchettini.
Arrivo a Milano in orario, ritiro le valigie, sono stremata come se avessi fatto il viaggio a piedi, mi siedo ed aspetto Andrea con Martina e la piccola Federica ancora in pancia.
Sono a casa, a nanna fino al giorno dopo.
Mi sento in debito.
Se da subito iniziassi  a ridonare ciò che nella vita ho ricevuto senza perdere neppure un attimo, un pensiero, un secondo di tempo, penso che non potrei farcela ,.. dico grazie per la vita, i genitori, le persone incontrate, gli amici che mi hanno seguito a distanza, di quanti con i loro consigli e il loro stile ed esempio di vita mi hanno indirizzato verso questa strada.
Il cammino non finisce qui, e’ come se mi accompagnasse una sana inquietudine che mi spinge a non adagiarmi al minimo, ad andare oltre, amare senza dosare le forze, senza tanti calcoli, ma non e’ facile, un misto di gioie, slanci e paure segno della nostra natura umana. Cerco se posso di capire.
 
Mi piace pensare che Miguel, Anita, Eleuterio, Ruth, Marta, Margherita, Antonia, Giancarla, Sonia, Efrain, Octavio, Lucy, Simon, Silvia, con tutti gli altri ragazzi e bambini che rendevano piene le mie giornate, che tutti gli amici incontrati, le persone speciali che mi hanno accompagnato in questa esperienza, i campesinos e la gente comune, mi piace pensare e sono sicura che lassù in quota, nelle loro comunità al campo, nel loro semplice andare e nel vivere quotidiano in missione, che nel silenzio della notte o nella voce del vento possano sentire ancora l’eco dei miei grazie!!

Un ritorno che e’ ripartenza
Ai  confini del  cielo  / Comunita’ di Tujsuma 17   novembre 2008 - 13 novembre 2010
Tujsuma, Bolivia. E’ una piccola comunità rurale (al campo lontano dalla città) composta da 18 famiglie prevalentemente minatori e campesinos. L’altimetro indica 3870 metri sul livello del mare; il pueblo si trova sulla cordigliera centrale nel dipartimento di Cochabamba, a sud della città.



Il pueblo di Tujsuma si anima grazie alla presenza di 150 bimbi e ragazzi di età compresa tra i 6 e 21 anni che ospitiamo nell’internado (collegio) dando vitto e alloggio per tutta la settimana permettendo loro di frequentare la scuola pubblica.









Sono ragazzi che vivono nelle comunità a circa 3 e 4 ore di cammino da Tujsuma, rimanendo con noi tutta la settimana possono frequentare quotidianamente la scuola municipale di Tujsuma.


Scuola municipale comunità di Tujsuma









Costruzione nuovo internado di Tujsuma






Monsignor Angelo Gelmi inaugura la nuova
struttura
















Tujsuma, Arque, Bolivar  e le loro comunità sono le zone più povere della povera Bolivia.












22 novembre 2008        Destinazione Tujsuma                      

Lasciamo la città all’alba  diretti a Tujsuma, il jeep e’ stracarico; dobbiamo essere autonomi per circa un mese e considerando anche la mia valigia, lo zaino, i viveri,la tanica della gasolina, direi che l’auto e’ strapiena. Le piogge sono già iniziate e quindi dobbiamo prendere il cammino alto che e più lungo, circa 6 ore di jeep dalla città.

Lasciata la città ci fermiamo a fare il pieno ma ci dicono che non hanno gasolina, come non c’e’ gasolina? Non possiamo continuare, inversione e torniamo verso la città, altri due distributori ma sono deserti, solo l’omino seduto che con il palmo della mano rivolto al cielo ci indica che le pompe sono vuote,… benvenuti in Bolivia !!! 




Ma come, penso, e’ ricchissima di gas naturale e ora alcuni dipartimenti sono bloccati per la mancanza di gasolina. Paradosso dei paradossi, ma non ci addentriamo in discorsi e ragionamenti politici ed economici, il problema e’ che abbiamo solo una tacca e dobbiamo fare il gas. Be tentiamo il terzo distributore e gracias a Dios possiamo fare il pieno e così finalmente torniamo sul nostro cammino: destinazione Tujsuma.




Lasciata la strada asfaltata iniziamo a salire e il cammino sterrato non e’ comodo, anche il jeep in alcuni punti sembra affaticato e si sale in prima marcia 4x4.

Arrivati in quota il paesaggio si apre e il cammino e’ piu’ dolce, sempre mi sorprendo dinnanzi a tanta vastita’. Guardando in fondo solo montagne, e dietro ancora montagne, e poi lontano ecco ancora altre montagne, hanno profili con luci e colori diversi, non presenza umana,… ogni tanto un gregge, una donna, un bambino…., solitudini di uomini persi nell’infinito. 

Io non vedo comunità, non vedo case, eppure famiglie vivono qui a qualche ora di cammino, vivono al campo e sopravvivono con i loro usi, costumi e radici culturali, i loro visi sono scavati dalle stesse rughe, dai solchi identici dei paesaggi, dal sole andino che brucia, scalda, da’ luce, raggi che rendono dolce il paesaggio all’aurora e magico di luce il tramonto, sole che abbaglia, avvolge e riscalda la terra.


Terra bendecida, venerata, considerata madre,….sole caliente che anche qui in quota insieme alla fatica della gente aiuta a generare la vita!!!



Ogni giorno porta dentro un po’ di amore che ci fa restare in orbita  Jovanotti 


                                   




Novembre 2008 
Sveglia alle 5.50, ma nella mia cameretta e’ già giorno perché il tetto in calamina ha una striscia trasparente per far filtrare luce e calore, in cameretta ci sono 9 gradi ed e’ estate, miiiiiiii chissà questo inverno!! Mi lascio baciare dalla luce ringraziando il giorno che nasce e mi viene donato. Ho imparato le strategie del vivere in quota, se ci penso mi viene da ridere, ma credo che rientrino nello spirito di sopravvivenza che insieme a tanta gioia e slancio mi aiutano ad iniziare bene un nuovo giorno…, c’e’ tutta una logica che sto perfezionando, come porre i vestiti per evitare il trauma caldo-freddo del risveglio, disposti sulla sedia sotto la calamina (il mio solarium) nella speranza che un pizzico di calore possa filtrare nei tessuti, sono lì pronti e preparati secondo l’ordine inverso di come mi svesto meno tempo per pensare e coordinare i movimenti uguale meno freddo, due dita di acqua sugli occhi per svegliarmi, colazione tutta vestita e imbacuccata, quasi per scaldarmi e trattenere calore per poter superare l’impatto con l’aria frizzante …, ma poi nel raggiungere i ragazzi giù all’internado rabbrividisco nel vederli lavarsi con acqua gelata, anche i capelli, brrrrrrr, il calore dei saluti mi riscalda e di nuovo eccomi qui con loro ad iniziare un nuovo giorno, 150 ragazzi che si sentono amati anche solo con il calore di un sorriso.
91 maschietti e 48 bimbe, come sempre faccio fatica ad imparare i nomi, soprattutto le bimbe sono timide e si coprono con la loro manta (scialle) , altri, i più socievoli, sono anche i più monelli e vivaci.


I più pestiferi tra i piccoli sono Milton, Jesus, Genaro, Sandro e Primo. Il capo, il discendente degli Inca , si chiama Cruz Concha Jesus , ha 7 anni, occhi neri piccoli leggermente a mandorla che brillano incorniciati in un visetto olivastro, e’ un bimbo di bassa statura rispetto alla sua età, fisicamente flachito (magretto) , ma e’ un vulcano di energie e imprese poco corrette.
E’ capitato che insieme ad altri ninos hanno scavalcato il muretto di cinta dell’internado sconfinando nel terreno di dona Naty, un piccolo orto coltivato con al centro un albero da frutto (il tumbo) e cosa fare davanti a così tanta delizia facile e gratuita? Semplice, arrampicarsi e cogliere i frutti che dona Naty controllava e custodiva come oracoli in attesa della piena maturazione.
Un pomeriggio invece di scendere a scuola, a turno si divertivano ad entrare nella ruota di scorta del camion che fa trasporto escolar e quando sono stati da me sorpresi e rimproverati, via giù correndo e io con loro, ma un attimo e mi hanno seminato. E’ uno spettacolo vederli correre lungo sentieri ripidi, la totale sicurezza nel riconoscere i sassi di appoggio e le pietre da evitare.., tanti grilli colorati che fin da piccoli hanno ereditato un legame prezioso con la  natura, anche se nel contesto in cui vivono (il rio, il freddo, i fulmini di alta quota,..) non sempre e’ così madre generosa. 
Ricordo i primi giorni tra le solite domande e i loro mille perché della serie dov’e’ l’Italia, quante ore di cammino per arrivare, se c’e’ il rio,.. alla mia risposta che non si può arrivare camminando perché si deve prendere l’aereo e superare l’oceano, Alejandro mi ha risposto che lui impiega meno tempo dell’aereo perché corre più veloce dell’acqua del rio!!!
Le giornate che sto vivendo qui al campo sono quindi molto semplici, comunque anche un po’ faticose, però ci sto dentro bene perché so che c’e’ qualcuno e qualcosa di più grande che mi da’ forza e riesco così a superare i disagi del freddo, della fatica della quota, delle punture delle pulci, e riposo serena e convinta di aver donato un pizzico di amore, AMORE CHE OGNI GIORNO MI FA RESTARE IN ORBITA!!!
Febbraio   2009  
Il tempo speso per gli altri e’ già tempo guadagnato ed e’ già testimonianza a favore del vangelo, tutto dipende dallo spirito giusto, uno spirito che ignori la febbre della riuscita, la ricerca del consenso e sappia affidare tutto a Colui che ci dona ogni mattina una nuova giornata, la benedice e la custodisce nella memoria del suo cuore (L.Pozzoli dal libro “Il respiro di Dio”).             
Scrivo utilizzando questo potente mezzo elettronico ma e’ come se mi fermassi a parlare e spendere un po’ di tempo con ciascuno di voi, vi penso impegnati diverse attività, nel lavoro e impegni vari. Io sto bene, anche qui il lavoro non manca, e’ un po’ diverso dall’Italia, ma si sa che in missione ci si adatta e ti ritrovi a fare di tutto e di più.
La giornata inizia presto e termina tardi, sempre con i ragazzi, dalla sveglia del mattino ai saluti della sera. E’ bene far lavare i piccoli, pettinare le bimbe, disinfettare i dormitori, seguire i ragazzi nei compiti, nei giochi e nella formazione, pelare papas, tutto sempre insieme a  loro, non un attimo di tempo per tirare un respiro più lungo del solito!!
Fortunatamente dall’inizio delle scuole ci affiancano due professori che hanno vissuto e studiato in città, e’ stato loro assegnato il lavoro alla scuola qui al campo, però l’alloggio offerto dall’alcaldia (comune) non ha ne’ luce ne’ acqua , ne’ bagno e così credo che il vivere all’internado con i ragazzi in una struttura più servita e comoda sia per loro la soluzione ottimale e per noi un aiuto prezioso. 
Il lunedì e mercoledì mattina aiuto dona Flora e suo marito don Leonardo a preparare il pane per i nostri ragazzi (40 kg la bellezza di 600 pani). Farina, sale, levatura e miele   li forniamo noi grazie agli aiuti alimentari a favore dell’internado che riceviamo periodicamente da Cochabamba , preferiamo non acquistare il pane in città e dare lavoro ad una famiglia di Tujsuma.
Già di prima mattina preparano l’impasto e il forno a legna, io li raggiungo quando i ragazzi sono andati a scuola e…, via con le mani in pasta a preparare tante palline.
All’inizio, non avendo la misura della quantità di pasta per ogni pane e non sapendola lavorare bene, creavo delle palline da rugby e non belle rotonde, dona Flora sempre mi diceva ay Giobana, asi’ no se puede, ora me la cavo bene! Ho avuto dei bravi maestri, riesco a strappare dall’impasto quantità uguali di pasta e con movimenti rotatori delle mani sul tavolo la lavoro preparando due pani alla volta al ritmo dei miei amici boliviani. Com’e’ che dice il proverbio? Impara l’arte e mettila da parte, in fatti tutto ciò che per me e’ nuovo, diverso, pratico mi attira.

Il forno a legna tipico del campo costruito con mattoni di fango e’ uno spettacolo da far invidia ai migliori pizzaioli dei locali “o sole mio”, trattiene il calore per giorni e alla sera la brace e’ ancora caliente e così a volte prepariamo la pizza e diamo un tocco di sapore e colore italiano al pueblo boliviano.
Io dunque sto bene ed eccomi qui a parlare un po’ di me, di ciò che sto vivendo, di com’e’ la vita al campo nel pueblo di Tujsuma, di ciò che mi da’ e mi prende questo vivere la missione.
Ogni esperienza che vivi e’ diversa e ti cambia, e’ vero,… e l’esperienza che sto vivendo a Tujsuma e’ un po’ diversa dall’anno vissuto ad Arque, mi ero promessa di non fare confronti e paragoni tra i due cammini, ma non ci riesco e il confronto e’ continuo, sbaglio forse,… non lo so… Ad Arque ho vissuto in un contesto povero in una comunità viva guidata da padre Luciano , qui a Tujsuma il pueblo e’ piccolo, isolato, le due suore sono presenti da pochi anni , la pastorale, l’annuncio, il nostro farci conoscere ed accettare, tutto e’ agli inizi. Il sentirsi parte di una comunità, proporre e decidere insieme al pueblo non e’ facile e richiede pazienza ed impegno, tanti sforzi e i risultati sono pochi. 
Ad inizio febbraio sono iniziate le scuole e quindi ha ripreso a pieno ritmo l’internado, i ragazzi sono tanti (150) e arrivo a sera che sono un po’ stanca, vorrei leggere, scrivere, ma il sonno prevale e così anche per il freddo alle nove vado a letto, però recupero un po’ di tempo per me durante il sabato o la domenica, tempo e spazio per me, seguo il mio istinto e la gioia di andare incontro alla gente…, qui i sentieri non mancano e così mi concedo ore di cammino in paesaggi stupendi poi torno a casa riconoscente e grata a Dios per ogni cosa vista, odorata, contemplata, per ogni incontro vissuto.
Mi godo la natura nella sua freschezza e incontaminatezza, così originale e selvaggia come se fosse appena uscita dalle mani del creatore!!! Ogni giorno sale al cielo il mio grazie per ciò che sto vivendo, assaporando, per ogni istante dell’esperienza che mi viene donato vivere, per ogni respiro e battito di cuore. 
…..Tutti i bimbi che ospitiamo, i primini, i più piccoli di 6 e 7 anni mi parlano in chequa , per me e’  e’ inevitabile chiedere aiuto ai più grandi che mi traducono in castigliano, tutti mi fissano con la bocca semiaperta e quando vedono il mio volto sorridere per il concetto afferrato ridono pieni di soddisfazione, tutto el comedor partecipa alla gioia, se poi nessuno sa tradurre bene perché a volte i ragazzi grandi non sono così disponibili e pazienti, si ride ugualmente al mio no intiendo, non ablo chequa,… si ride ugualmente ma con meno soddisfazione!!.
Venerdì 20 marzo 2009     Den gracias a Dios en todo momento                                                     
Oggi scendiamo in città, approfittiamo della chiusura delle scuole. In Bolivia una volta al mese le scuole pubbliche chiudono due o tre giorni per permettere ai maestri di riscuotere lo stipendio, non esiste un sistema di accredito bancario e così i professori che lavorano al campo, in città o nella scuola in foresta, devono lasciare il collegio e raggiungere la città per incassare il mensile.
Chiusa la scuola, chiuso l’internado, si va in città. Solo alcuni giorni di vacanza e le cose da fare tante: pagare le bollette all’Elfec (enel Boliviana), incontrare alcuni volontari italiani che dovranno raggiungerci al campo per montare i pannelli solari, passare al correo per ritirare la posta , all’Arzobispado , consegnare alla pastoral caritas l’elenco degli alimenti mancanti per l’internado, telefonare a casa , entrare in un punto internet, fare la spesa e perché no comperare qualche pasticcino perché domani e’ il mio compleanno, tutto deciso , tutto programmato!!
Sveglia molto presto, ha piovuto tutta la notte, piove ancora e c’e’ nebbia. Il mitico toyota 4000 cruiser e’ pronto, oggi siedo in prima fila accanto a  hermana Giovanna che guida. Affidiamo il nostro cammino (la bellezza di circa 6 ore di jeep) alla Virgen , mancano pochi minuti alle sette e partiamo.
Fa freddo, c’e’ umidità e nebbia che sale da fondo valle, ogni due minuti allungo il braccio fino al lato guida e  con l’aiuto di uno straccio pulisco il vetro appannato.
Superiamo la pampa, il jeep scivola sul fango come un cubetto di ghiaccio sul sapone, suor Giovanna e’ bravissima a sterzare e contro sterzare, che donna!!
Lasciamo la pampa, il punto più alto a 4000 metri, e iniziamo la discesa. Il cammino e’ brutto, l’unico lato romantico sono le goccioline di pioggia sospese sui ciuffi della pampa. Segni di vita zero. Qualche pernice che attraversa il cammino saltellando veloce veloce spaventata dal rumore del motore.
Tutto in un attimo, sembra uno scossone più forte del normale, il jeep si inclina tutto a sinistra,  Hermana Giovanna grida: “il volante, il volante, la ruota, abbiamo perso la ruota”, l’auto scivola, va da sola, e si ferma inclinata a sinistra, solo io riesco a scendere rapida, ma non capisco,… guardo il cammino percorso ma non vedo nessuna ruota, guardo il lato guida, e sì,sì e’ qui la ruota, abbiamo perso ruota e cerchione, il tutto si e’ conficcato sotto bloccando l’auto nel suo corso. Noooooooooo e ora!!Chi viene ad aiutarci? Come fare per chiedere aiuto?



Fa freddo, sono appena trascorse le ore otto, la città e’ ancora lontana, questi e altri pensieri si accavallano senza una logica precisa, poi nel guardare l’auto ferma a  solo cinquanta centimetri dall’inizio del burrone dove giù giù scorre il fiume, aumenta la paura ed entra in circolo lo spavento.
….Ora mi scappa pure la pipì, che strano! Solitamente quando scendiamo in città a metà cammino ci fermiamo per sosta pipì, las hermanas sempre mi scherzano perché non irrigo il suolo boliviano anche se il paesaggio e’ deserto senza l’ombra di una pecora,… ora invece sarà il freddo o lo spavento, la tenuta e’ al limite. 
Decidiamo così: Suor Angela si fermerà al jeep, io ed Hermana Giovanna scenderemo a piedi fino al pueblo di Kolpa Kaasa , sono meno di due ore di cammino, lì c’e’ la scuola, il telefono pubblico e il ripetitore, dovrebbe funzionare il cellulare così da poter chiamare il numero dell’assistenza.
Comunque vada rimaniamo in accordi che per le tre torneremo al jeep. A metà pomeriggio dovrebbe passare il camion e se non avremmo ancora risolto nulla, l’autista e i passeggeri potrebbero aiutarci perché il cammino e’ stretto e la nostra auto occupa il passaggio.
Il rumore di un motore: la nostra salvezza!!
E’ un jeep con alcuni operati dell’ Elfec che stanno lavorando alla linea elettrica di alcuni villaggi in quota , si fermano, parliamo un po’, ci dicono: “han tenido buena suerte hermanas”, mira ”hay el derrumbe” (avete avuto fortuna, guardate qui c’e’ il burrone), guardano la ruota e dicono che e’ uscito el seguro del 4x4 con tutto il dispositivo del freno a disco, cercano di raddrizzare l’auto ma e’ troppo inclinata, si consultano e poi amareggiati, non tanto per non aver potuto risolvere nulla quanto per la loro giornata di lavoro persa, salutano e danno la vuelta , che storia, asi’ es la vida! 
Non ci resta che procedere come deciso. Indosso lo zaino, mi da’ l’impressione di un pizzico di calore in più, e scendiamo di buon passo. Nessuna delle due parla, silenzio eterno. Al ritmo del respiro e del battito del cuore la matassa dei pensieri si dissolve prendendo un ordine logico e penso: se la ruota non avesse fatto da scudo bloccando la discesa dell’auto, e se fosse successo nel tratto dove la pendenza e’ maggiore o sulla strada asfaltata in direzione della città dove la velocità e’ più sostenuta?
Ciao compleanno, e già immagino quante parole, troppe forse,… non bisognava mettersi in viaggio con un tempo così, certo il cammino era brutto,  la suora alla guida non ha saputo tenere la strada, ,….e invece il tutto solo per colpa di un guasto tecnico e la poca professionalità del meccanico che ha riparato l’auto a Cochabamba.
Ancora piove. Raggiungiamo la scuola e chiamiamo l’assistenza. La signorina che risponde al numero verde dice di avere pazienza, che girerà la chiamata e al più presto ci farà sapere, ma qui la linea viene e va, l’auto e’ in bilico, rimaniamo calme e spieghiamo dettagliatamente dove ci troviamo dando i nomi dei villaggi affinché il servizio di assistenza possa raggiungerci.
Ci confermano che partirà el gru da Cochabamba, noi aspetteremo alla scuola dove il cammino si divide: Bolivar e Tujsuma. Accovacciate al riparo sotto il porticato della scuola, coltiviamo la pazienza. Sappiamo che gli aiuti arriveranno nel primo pomeriggio, siamo consapevoli dell’attesa ma ad ogni rumore di motore ci alziamo, falso allarme e’ solo la flotta per Bolivar, ora una semplice moto, finalmente alle tre del   pomeriggio arriva el gru, saliamo in cabina e indichiamo all’autista il cammino per arrivare al jeep. Faticose le manovre per fare l’inversione ed agganciare il toyota al traino.
Saliamo sul jeep, il cammino brutto, le mille oscillazioni, l’inclinazione del jeep al traino, mi pare di essere sull’aliscafo.
Piove ancora e c’e’ nebbia, sul jeep (trainato a motore spento) un freddo cane.
Arriviamo in città alle 10.40 della notte.
Ho riportato questa pagina di diario non per lasciare in ansia amici e persone care ogni qualvolta scendiamo dal campo verso la città, ne’ per farci considerare piccoli eroi graziati, nooooo assolutamente!!
Ciò che e’ capitato mi ha fatto pensare e riflettere tanto. 
A volte capita di programmare, prevedere, organizzare ogni attimo di tempo e poi basta poco, non siamo noi e non dipende da noi decidere il tutto, la mia non so se e’ stata solo fortuna se il destino di ciascuno e’ già segnato dalla nascita, se per noi non era ancora il momento o se lassù qualcuno ci ama, io con certezza non lo so.
So che  a volte si e’ convinti di bastare a se stessi e di poter superare i propri limiti con le nostre sole forze, non e’ così. Credo che solo vivendo con un pizzico di  umiltà, misericordia, semplicità di cuore, forse si riescono meglio ad avvertire e riconoscere le nostre piccolezza, fragilità, insuccessi, i nostri limiti diventando più aperti e disposti all’aiuto degli altri e di Dio.
Possiamo anche possedere tutte le migliori cose del mondo, ma non siamo noi con la nostra buona volontà e i nostri sforzi che ci rendiamo perfetti, imbattibili, intoccabili, ma e’ la nostra capacità di lasciare spazio nel nostro cuore all’amore agli altri, e’ questo che ci rende capaci di grandi cose e di gesti di amore, quelli autentici, preziosi agli occhi dei nostri fratelli, capaci di tendere una mano e donare uno sguardo, … pronti a fermarci e dire ancora una volta: grazie!!!! 
Nel mese di febbraio, mentre stavo ultimando le pratiche per il permesso di soggiorno, ci hanno rubato dalla ruota anteriore sinistra il dispositivo 4x4 ,… l’auto era parcheggiata fuori dall’ufficio immigrazione. Abbiamo portato l’auto dal meccanico indicatoci dall’assicurazione, qui hanno smontato, rimontato il tutto, ruota compresa, probabilmente il lavoro non e’ stato fatto nel migliore dei modi.
29 aprile 2009   Un maiale rosa e nero ed un gallo con una sola zampa        
Splende il sole. Sono le tre del pomeriggio, i bimbi stanno tornando da scuola e vanno diretti verso le loro case, tre o quattro ore di cammino per poi ritornare il lunedì mattina fermandosi con noi tutta la settimana ospiti all’internado.
Saluto  Jesu’, Wilfredo, Catalina e Santusa, loro vivono a Pariachico , poco più di un’ora di cammino a piedi da Tujsuma. Decido di accompagnarli per un tratto di strada.
Camminiamo, tutto intorno terreni coltivati, ora le patate hanno lasciato spazio alle coltivazioni di avena , le pianticelle sono già alte, anche i girasoli che ho piantato la bellezza di tre mesi fa e che hanno saputo resistere alla forza dell’acqua e al freddo umido, finalmente anche se alti poco più di 50 cm stanno fiorendo ( credo siano i primi girasoli nani della storia!). 
Jesus e Wilfredo corrono lungo il sentiero, si fermano, tornano da me, ripartono, si fermano e mi indicano una cavità nella roccia ormai seminascosta dai cespugli: e’ l’ingresso di una vecchia miniera e con aria sicura e di sfida affermano di non avere paura e di poter entrare e scendere , scendere, cerco di fargli capire che e’ pericoloso , l’entrata e’ stretta , ci sono pietre che possono franare,…grazie a Dio la loro attenzione ora e’ catturata da un cumulo di terra fine come segatura, esclamano mira!!, mira Giobana!! Jesus con le dita smuove la terra e in un attimo si scoprono buchi e gallerie pieni di vita: e’ un formicaio!!
Wilfredo aggiunge: sono malditas, este hormigas pican fuerte!!Osserviamo così le formiche, le abbiamo disturbate creando caos, il loro via vai sembra una via del centro della mia città durante il periodo natalizio.
Seguiamo per un istante gli insetti nei loro spostamenti veloci e poi torniamo sui nostri passi verso Pariachico.
E’ già tardi, ma i miei amici orgogliosi insistono, dicono che devo assolutamente visitare il loro pueblo, hanno un maiale rosa e nero e un gallo con una sola zampa da mostrarmi.
Prometto a Jesus e a Wilfredo che presto andremo a trovarli, do loro due caramelle, sorridono felici, per due caramelle!!, avendo poco  o nulla sono contenti per quel poco che loro e’ dato e che sembra così poco e banale ai miei occhi!!
Hasta lunes, il tempo di salutarli e via li vedo correre lungo il sentiero verso la loro casa.
Lunedì mattina e’ venuto il papà di Jesus giustificando il figlio perché non sarebbe venuto a scuola in quanto il giorno precedente aveva lavato i vestiti e non erano ancora asciugati,… mi domando: ha solo un paio di pantaloni e una sola maglia?Evidentemente sì. Penso ai nostri bimbi con abiti firmati e coordinati nei colori, i loro capricci e l’imbarazzo nella scelta del capo di fronte all’armadio strapieno. 
Giorni fa e’ venuto il papà di  Delia, una bambina che ospitiamo all’internado. Il padre parlandoci un po’ in chequa  e un po’ in castigliano cercava di spiegarci che Delia era inferma, non poteva venire alla scuola, el toro, el toro continuava a esclamare!! L’ha forse ferita el toro, no hermanas, i due tori hanno litigato, uno e’ rimasto ferito e infermo, non può andare al campo a pascolare e così Delia ogni giorno deve portarle il foraggio marinando così la scuola,… ma dai che storia!
Capisco, qui il toro e’ più importante della scuola, e’ un piccolo investimento per tutta la famiglia.

  
Penso ai privilegi di vivere in Italia, andare a scuola senza dover percorrere ore di cammino a piedi, avere l’acqua calda per lavarsi, vestiti adeguati alle stagioni, mille comodità e opportunità , penso alla fortuna che i bimbi hanno di poter giocare e vivere a pieno l’infanzia mentre qui al campo sudano e lavorano fin da piccoli aiutando nei campi, badando alle pecore , raccogliendo legna,..
Credo però che i bambini del campo abbiano un grande vantaggio che possa recare invidia ai nostri: il rapporto costante e genuino con la natura, un maiale nero e rosa  ed un gallo con una sola zampa, beni preziosi da custodire e mostrare, tanto unici e preziosi quanto l’ultimo video game ambito, a volte addirittura preteso ai genitori dai nostri ragazzi!
14 giugno 2009       …saper guardare oltre….   
Sono appena passate le otto del mattino quando io ed Hermana Giovanna lasciamo Tujsuma con l’obiettivo di raggiungere la cima del Cerro Grande, un monte che ormai ci e’ familiare in quanto questo panettone verde (credo sia un 4000) che vediamo dalla finestra della nostra cucina, ogni giorno ci tiene compagnia, ci accompagna dalle luci dell’alba al tramonto del sole, la luna a volte sembra cullata e appoggiata alla sommità del cerro per poi salire dolcemente nel cielo.
Lasciamo la strada sterrata e da subito il cammino e’ in salita e il sentiero ci fa guadagnare rapidamente quota.
Passo dopo passo la fatica si fa sentire, il sole scotta e abbaglia, una breve sosta, togliamo antivento e felpa, sembra di essere più leggere e di respirare meglio.
Arriviamo in alto (l’altimetro segna 4030 metri slm) e camminando in quota procediamo fino al cerro che e’ la nostra meta finale.
Nessun incontro, solo due grandi uccelli bianchi e neri fermi nei pressi di un piccolo laghetto in parte ricoperto da sottili lastre di ghiaccio che il sole sta sciogliendo. Blu e verde i due colori dominanti, sorpresa e gioia i  sentimenti che provo.
A lato, dietro, dinnanzi, solo montagne; da quassù Tujsuma e’ piccola piccola, persa nella vastità del paesaggio, i tetti di calamina brillano al sole come gocce di acqua, gli eucalipti toccano il cielo, i loro tronchi slanciati, diritti rompono la profondità del paesaggio.
Montagne di Potosi’, montagne di Oruro, montagne di Cochabamba, si vedono solo montagne.
Gli occhi e il cuore si impossessano di una immensità mai vista, incontenibile.


Potrei rimanere ferma, immobile col fiato sospeso, così assorta a contemplare, ma sono inquieta, volto la testa, apro gli occhi e cuore con il desiderio di far entrare tutto il bello che mi circonda, questa bellezza che mi invita a dilatare il cuore ad allungare lo sguardo verso un “oltre”.
Come e’ faticoso salire, concentrare le forze , arrivare in alto per guardare oltre, come e’ faticoso scendere, fermarsi e spendere tempo, vivere in una realtà così povera, così piccola dove a volte e’ difficile vedere oltre, oltre i problemi, le difficoltà della gente, dove il campesino ti cerca solo se ha bisogno diventando a volte esigente, arrogante, …. Situazioni difficili da capire, non e’ così facile saper ascoltare le persone nella loro complessità, non e’ facile in questa realtà lasciarsi sorprendere da loro e accogliere la loro diversità come ricchezza.
Credo che bisogna avere tanta pazienza e la debolezza di non avere fretta, siamo chiamate a dare tanto.
Eppure mi rendo conto che nessun pueblo e comunità e’così estremo, povero, isolato, da non avere piccoli segni di amore, speranza, tenerezza, segni che l’esperienza quotidiana non nasconde a chi sa tenere aperti occhi e cuore andando oltre  riscoprendo energie nascoste, senza compiere grandi imprese, semplicemente amando, donandosi ai fratelli, compartendo con los pobres, si los hacemos gratis esto es amor!
  
Luglio 2009           Salita alle rovine Inca               
Partenza alle 7.30 da Tujsuma, prendiamo il cammino che porta nei pressi della comunità di Kalajchullba dove lasceremo il jeep per poi salire a piedi fino ad arrivare a delle rovine inca.
Ci accompagna Juvenal, un ragazzo del pueblo.
Fa freddo e c’e’ vento forte.
Juvenal ci spiega che le rovine sono state scoperte circa cinque anni fa, quindi di recente segnalazione, la mancanza di comode vie di comunicazione e del sentiero (praticamente assente, da inventare!!) per arrivare fino in cima le lasciano riposare lontano dagli occhi curiosi di folle di turisti rendendole a noi più preziose e affascinanti. Saliamo, fa freddo, il vento insistente ora soffia da dietro spingendomi in avanti, ora gelido di fronte tagliandomi il viso,… mi prende, mi scuote, mi domina con la stessa forza con cui schiaffeggia i ciuffi della pampa, le nuvole si formano e disfano in un istante: e’ magico vedere questo spettacolo.
L’altimetro segna 4312 metri slm quando arriviamo ai margini di un lungo muretto di sassi alto poco più di un metro  e mezzo che cinge la sommità del cerro, visto dal basso sembra una collana di pietra.
Superiamo il muretto ed entriamo in ciò che doveva essere una postazione militare inca. Resti di strutture circolari costruite con enormi pietre rettangolari, due buchi rotondi scavati nella roccia, qui probabilmente venivano lavorati i metalli,… eccone un altro profondo, forse i resti di un forno, o un pozzo, chissà!
La vista da qui e’ di 360 gradi, si domina tutto intorno, si controlla il cammino che porta ad Oruro, Potosi’, Cochabamba,… il paesaggio e’ bellissimo, manca solo il sole,  le mie mani sono così fredde che a fatica riesco a premere il pulsante per scattare alcune foto.

Ho un pizzico di timore, non so bene dove posare i piedi, ho paura,… un senso di rispetto mi spinge a camminare lentamente, dolcemente calpestando le pietre, cerco di immaginare dando vita a questo posto, chi vi ha abitato?
Quanta fatica e fedeltà per svolgere il servizio quassù! Quali i pensieri, i sentimenti, le paure, le gioie, gli amori nella mente e nel cuore di chi ha abitato queste alture?
Quanta storia e’ passata tra me e loro, una sola certezza: nel mio attimo di essere qui e nella loro vita in comune tra me e loro la voce del vento e il rumore del silenzio che ci hanno catturato la mente e sospeso in un attimo fuori dal tempo.

Ahh come vorrei conoscere gli antenati.
Domandare loro dove trovarono la forza per intagliare la roccia, dove l’immaginazione di colori dipinti nei vasi,… 
Verso dove va o corre, se ha fretta, l’uomo che abita ancora oggi le altezze?
Quanta saggezza nel premeditato atto della semina. Quante ore ci vollero per scoprire la dolcezza del mais? 
Come si legge il mondo degli oggetti? So che le tue mani vi lavorarono.
 Il sudore poco a poco scese a fondersi con la bellezza delle opere. 
Vite di molti, preziose, fusero , intagliarono metalli.
Mostrami i tuoi bambini, come li hai amati?
Perché i tuoi passi furono veloci?
Raccontami i riti della semina, le tue feste e le lotte, come furono le lotte?
Devo imparare a bere le tue lacrime, ma lasciami sapere come ridevi.
Roberto Aguerre  (gli Incas, uomini delle alture)

 “La generosità perché divenga sorgente di vita deve dar luogo ad un incontro vero, uno sguardo, una parola, un ascolto, e se possibile una comunione di cuori”.
Jean Vanier  
BUON  ANNO  A TUTTI !!  Benvenuto 2010 !
….e così e’ trascorso un anno anche qui lontano da casa, qui persi nel mondo.
Un anno per me di gratitudine, di mille colori, di testimonianza, di risposte e fantasie, un anno di sacrifici, preghiere semplici, volti amici, cielo blu, un anno di stelle cadenti, fotografie, un anno di pulci sconfitte, cammini spezzaossa, occhietti magnetici caffè, sorrisi dolci, paure nuove, telefonate che non entrano, nostalgie, un anno di gelide coperte, abbandono, pagine da scrivere, gioie semplice, desideri, condivisione, corse in città, speranza, un anno di giorni che volano via, di respiri profondi, di umidità, di lacrime sincere, di sveglia fissa, di docce veloci, di burro cacao, di albe sconfinate,…
un anno di mani fredde, voci di bimbi, odore di chicha, colori di aguayo, caldi abbracci, un anno di Evo cumple, di carezze e giochi con los ninos, di buenas dias, di pazienza, di trimate, di papas, di incontri, di cambio gomme, di corse sofferte, di attese dal meccanico,… un anno di silenzi profondi, di manine tese, di nuovi capelli bianchi, di paesaggi stupendi, di stelle cadenti, di profumo di eucalipto, un anno di ascolto, di logiche diverse, di sogni, pensieri, immagini amiche, un anno di carcas e mariaci, di fitte che attraversano il cuore, di aria gelida in gola, di emozioni che battono in testa, …. Un anno di mango, di pina e avocado, di perros malditos, di mate de coca, di mille perché, un anno in missione, un attimo di vita donata!! grazie!!



Maggio 2010    
Pomeriggio abbiamo costruito gli aquiloni con carta velina e legnetti leggeri recuperati dagli scopini che si usano per pulire il pavimento, qui prevale l’arte dell’arrangiarsi, anche se purtroppo a volte i risultati non sono ottimi.


Appena ci sarà sole e vento daremo colore al cielo nella pampa, speriamo che gli aquiloni prendano il volo liberi di danzare così da poterli seguire con gli occhi all’insù’, e noi saremo felici di correre, perdendo per un attimo lo sguardo nel cielo blu di Bolivia.
Sabato 3 aprile 2010    Camminando nella luce   - Santa Pasqua
Decidiamo di andare a Bolivar, la comunità salesiana dell’operazione mato grosso.
Percorrere tutto il cammino a piedi. Partendo il sabato e rientrando la domenica. Iniziamo il cammino verso Bolivar appena dopo mezzogiorno, c’e’ sole forte e vento freddo che smorza un po’ il calore del sole, però appena il vento si calma i raggi scottano, e’ un continuo mettere, togliere e rimettere cappello e sciarpa.
Solo a piedi mi rendo conto dell’effettiva distanza, della fatica dell’andare, in macchina il cammino e’ diverso. La dimensione dell’andare a piedi e’ naturalmente a misura di uomo: incontro persone, mi fermo, parlo, osservo, cerco di capire,… più da vicino posso vedere le guance dei bimbi  bruciate dal sole, le manine tagliate dal freddo, mani distese che cercano un pane, segui con gli occhi i piedini seminudi che corrono tra i ciuffi della pampa. Osservo e mi sento osservata, mi sento anche un po’ così…, quante comodità e precauzioni ho preso per percorrere queste 5 ore di cammino: crema da sole, the caldo, scarpe e calze da trekking, biscotti, … cammino nel silenzio, mi godo i paesaggi, penso alla Pasqua, al messaggio di salvezza, al trionfo della vita, e penso a queste persone, ai bimbi incontrati nel cammino, ai loro sacrifici, alla povertà in cui vivono, credo che siano già dei piccoli beati qui in terra.
Arriviamo alle sette di sera, fa freddo. Camminando pensi tanto, guardi tanto, vedi oltre. Ho visto cambiare le luci e i colori del giorno, ho ascoltato il silenzio e i piccoli rumori, le grida dei bimbi nel richiamare le greggi, ho camminato tra llamas non spaventati della mia presenza, del mio passo rispettoso e leggero, ho gustato il calore del sole e i brividi per il freddo improvviso.

cammino verso Bolivar


Alla missione di Bolivar gli abbracci degli amici, il calore della cucina riscaldata con stufa a legna, un mate caldo, piccole attenzioni che ci fanno sentire subito a casa e la stanchezza diventa meno pesante.
Partecipiamo alla veglia celebrata da padre Paolo insieme ai ragazzi dell’internado di Bolivar, la gioia del Cristo risorto e’ con noi!!.

Lunedì 13 settembre 2010 …Ancora in cammino verso  Bolivar        
Ieri il tempo si e’ messo brutto, pioggia e vento molte forte. Questa notte non ho dormito tanto, non sapevo se partire per Bolivar, le calamine del tetto vibravano segno che il vento era ancora forte. Verso le sei del mattino ho guardato il cielo verso Cochabamba, era limpido e così basta pensieri, decido di partire.
Sono le sette, fuori ci sono due gradi. Il vento e’ forte, mi paralizza, stupidamente non ho preso i guanti e le mie mani sono ormai bianche e congelate.
Il paesaggio alle luci del giorno e’ bellissimo, vorrei fotografare verso Cochabamba la catena del Tunari imbiancata, ma aime’ non riesco neppure ad aprire la cerniera della tasca esterna dello zaino, tiro la linguetta con i denti, tolgo la macchina fotografica ma per le mani fredde non riesco a premere il pulsante di scatto, chiudo tutto e torno sui miei passi. Raffiche forti mi ostacolano il cammino e per procedere devo fare forza con le braccia come se stessi nuotando. Mi cola il naso, non riesco a respirare bene, la gola e’ un ghiacciolo. Penso: muoio.
Avvolta nella giacca antivento (spettacolare!) procedo a fatica. Il sole e’ già alto, sono tre ore che cammino, fa ancora freddo. Mi prometto che prima di iniziare la discesa verso Bolivar , mi fermerò per mangiare qualcosa. Pochi incontri lungo il cammino: Andres che lasciato il suo pueblo raggiunge Tujsuma a piedi per andare a scuola, quattro pernici saltellanti nella pampa, una quindicina di lama e un campesino diretto a piedi verso Tacopaya.
Scollino. Riposo un attimo. Finalmente inizio la discesa.
Prevedo di arrivare per mezzogiorno, incontro le case delle prime comunità, il vento e’ un po’ calato e le mani hanno ripreso a vivere.
Ecco i greggi, le case in adobe, al fondo vedo anche un jeep, sì e’ il jeep di padre Paolo, que suerte!! Sono infatti alcuni amici di Bolivar che stanno montando una porta in legno alla casa di una campesina, saluti, abbracci, condividiamo pane e banane, … padre Paolo mi dice: brava!!!
Ora sto meglio. A lavoro ultimato la nonnina (avrà circa cinquanta anni!!) ci regala alcune uova e chiede al padre di montarle anche la calamina per sostituire il tetto in paglia. Ya, Ya,… salutiamo e con il jeep raggiungiamo Bolivar.
Avevo paura di intraprendere sola il cammino, ma nonostante tutto sono riuscita ad arrivare alla meta.
Avevo paura del vento forte, ma la forza di animo ha vinto. Ho avvertito la mia fragilità di fronte alla forza della natura, sono convinta che la bellezza del creato mi abbia dato carica.
Avevo timore di perdermi nella solitudine di mille pensieri scoprendo le paure e le debolezze camminando nell’immensità’ della pampa, da subito mi sono sentita amata e presa per mano.
Mi fermerò a Bolivar  una quindicina di giorni.
Missione di Bolivar, operazione mato grosso, ..una bella esperienza a continuo contatto con le persone del posto, visitando le comunità e cercando di lavorare nel taller con i ragazzi del collegio, guardare intagliare abilmente il legno da ragazzini di 14 anni, mentre le ragazze apprendono a tessere e confezionare aguayo.
Ormai sono al termine dei due anni, mi piacerebbe donare ancora un po’ di tempo ai poveri, l’animo e’ disposto, il cuore aperto, la mente pronta ma se non vedo nulla di concreto in cui donarmi, io fatico a procedere…,
Ora sono rientrata a casa a Tujsuma e sono un po’ triste. Vivo momenti belli di slancio, entusiasmo uniti a momenti di stanchezza, paura, qualche dubbio e incertezza legati al mio futuro…, ma e’ così che si vive realmente,…
Ritornata da Bolivar ho preso del tempo mio, in due anni non era mai capitato, così con zaino in spalla sono andata a La Paz, a Copacabana, sul lago Titicaca fino all’isla del Sol attraversandola a piedi da nord a sud con viste bellissime sul lago Titicaca,… poi giù verso sud al salar de Uyuni, il deserto di sale più grande del mondo.
Le città di  Sucre e Potosi’ , la città più alta del mondo con le sue miniere scavate nelle viscere del cerro Rico.
Ho bivaccato nel salar a circa quattromila metri e al mattino siamo saliti sul vulcano Tunupa, niente di difficile a livello alpinistico, solo il problema dell’altura,… abbiamo raggiunto in quattro ore di cammino il cratere del vulcano a 5218 metri,… grazie a Dios vivendo da due anni in quota non ho avuto problemi di altura e a parte il freddo iniziale poi sono salita bene.
Paesaggio stupendo: e’ un luogo ricco di minerali e quindi il terreno e’ rosso, ocra, nero, con il contrasto del bianco del salar giù in basso, l’azzurro del cielo, il verde della pampa, il verde azzurro
dell’acqua delle lagune,… non ho visto tante cose così belle tutte insieme, dico grazie alla vita per aver potuto ammirare queste meraviglie, mi hanno un po’ ricaricato.
Manca poco al mio rientro in Italia e ne ho già parlato con i bimbi e la gente di Tujsuma, cerco loro di spiegare …., è difficile spiegare sempre mi lasciano parlare e poi mi chiedono: ma quando tu vas a volver?
No sé, mi piace vedere ciò che la vita mi riserverà.
Grazie di tutto, grazie di cuore
Novembre  2010
Cara Joe non sarà facile rientrare soprattutto dal punto di vista psicologico o dal punto di vista delle cose che si muovono dentro: ne so qualcosa. Credo però che la scommessa in quello che facciamo qui o altrove vada portata avanti in modo totale come fosse definitiva qui e adesso: Dio poi ci viene sempre incontro o meglio si mostra sempre,… non sempre secondo le nostre povere aspettative. Padre L.
Ciò che e’ importante non cambia. Se ti manca ciò che facevi torna a farlo, insisti anche se tutti si aspettano che tu abbandoni. Madre Teresa di Calcutta.
I poveri non sono strumento per realizzare te stesso, per dare vita ai poveri bisogna donare un po’ della propria vita.


 


 

 

 

Informazioni personali

La mia foto
Diploma di ragioniera presso Istituto Achille Mapelli di Monza. Scuola Fondazione Giovanni ed Irene Cova di Milano, diploma di addetta alla lavorazione della ceramica al tornio. Fino al 2007 ho lavorato nel controllo di gestione del gruppo Multinazionale Sol Monza. Dal novembre 2007 esperienza missionaria nella comunità di Arque e Tujsuma - Bolivia . Attualmente vivo nella missione Salesiana di San Jose' Obrero di Kami - Cochabamba (Bolivia) per contatti giomenni@hotmail.it