Dove mi porta la luce del
giorno,
dove lo sanno anche le stelle
forse nel mondo a scoprire
l’amore. Joe
Terra lontana mi cattura la
mente
nasce nell’animo la voglia di
amare
sapere seguire la voce del
vento quando
in un attimo ti senti chiamare come un
pensiero che esce dal
tempo, solo nell’alba
di un giorno dorato.
La mente mi porta alla terra
lontana
nel cuore si sente la voce di
ieri,
il vento profuma di noi.
... interminabili sentieri
strade già battute
faticosamente ritrovate.
Il profumo di un fiore mi
accompagna,
sapori di teneri amori,
segni di un cuore che batte:
la vita sorride. Joe
Amare donando
In un contesto diverso dal
nostro, nell’ incontro con un’altra cultura una delle prime parole che si
impara nella lingua del posto e’ dire grazie, … a volte cerco di capire da dove
tutto e’ partito: una data, un incontro, un' esperienza particolare, quale il
primo passo di questo mio prendere il volo,… ma mi e’ difficile e così penso ad
un cammino in cui tutte le persone incontrate e le esperienze vissute mi
parlano, molti momenti belli tanto da sentirmi in debito e dire ancora una
volta grazie!
Spero di avvertire sempre questo senso di gratitudine, il
coraggio di dire grazie e la forza nel donare ciò che nella quotidianità
ricevo.
La partenza e’ sempre un fatto provvisorio perché non
dice ancora esperienza: tante le attese, i buoni propositi, le speranze, … e
nei momenti un po’ così mi fermerò a
respirare più ossigeno, di quelle boccate gelide che ti toccano dentro e ti fanno
sentire vivo, l’aria frizzante e tersa dell’alta quota, una spinta in più che
mi aiuterà ad ossigenare mente e cuore e a dare ancora una volta energia e
palpito di vita al mio cuore capace di amare semplicemente donando!
…. E’ una sensazione strana.
Ricordo in Italia
quando ricevevo lettere da amici e missionari impegnati in terra di missione
era sempre una grande gioia. Le lettere rimanevano sulla mia scrivania non perché
passavano in secondo piano, ma semplicemente perché avevano bisogno di un loro
tempo, un momento tutto mio per gustare ed assaporare ogni parola, per leggere
e rileggere scoprendo ogni volta un particolare che forse nella primissima
lettura mi era sfuggito.
Ora sono qui e sapere di dover scrivere dal sud del
mondo mi emoziona un po’. Tante le impressioni e i pensieri, domina qualcosa di
strano, a me che piace scrivere e’ come se ora le idee rimanessero chiuse nella
mente, le parole fanno fatica a prendere la strada del foglio.
Supero questo timore e do via libera alle parole, mi
viene naturale scrivere e mi aiuta, mi avvicina, mi permette di condividere a
distanza la mia esperienza con voi.
Mercoledì 20 settembre 2006 partenza per la missione di Arque / Bolivia (2006 / 2007)
Eccomi in partenza, tutto sembra iniziare con il piede
sbagliato.
A Linate non riescono a leggere il biglietto elettronico,
il volo per Parigi e’ in ritardo di un’ora e se perdo la coincidenza per S.
Paolo tra poche ore? Una strana tranquillità mi accompagna, c’e’ quasi da
preoccuparsi. Finalmente tutto si sistema.
Il ritardo del volo mi regala l’ultimo tramonto italiano.
Il sole e’ una palla di fuoco, troppo bella. La guardo come se volessi
assorbirne il calore, la luce, l’energia e chissà portarla con me in questo
nuovo cammino, e poi stupende le luci della sera sulle Alpi. Chiudo gli occhi,
un pizzico di malinconia, il pensiero lascia le persone care e vola verso le comunità
che mi aspettano, altre montagne, altri confini, altri volti, distanti ma
illuminati dallo stesso sole, ….ed ecco ritornare in me il sorriso.
Mi hanno consigliato in questo mio andare di armarmi di
tanta pazienza e a Santa Cruz vengo subito messa alla prova. Il volo per la città
di Cochabamba e’ in ritardo e quindi slitta di due ore, mi dispiace perché Padre
Luciano e Laura mi aspettano per le 19 circa e invece eccomi arrivare con ben
due ore di ritardo. Ritiro le valigie, sbrigo le pratiche all’immigrazione e
sono subito da loro. Abbracci, saluti, la tensione del volo e’ svanita.
Ce l’ho
fatta e non mi sono persa nei vari scali internazionali, sono sfiancata, il mio
stomaco nelle ultime tratte non ha retto e ha sboccato.
Mi “specchio” nel vetro del box dell’immigrazione, il mio
volto e’ un po’ provato, ma sono contenta di essere qui.
Ci siamo tutti e partiamo per la comunità di Arque,
destinazione della nostra missione.
Arriviamo alle tre di notte. Viaggiando di notte sulla
strada asfaltata in uscita dalla città di Cochabamba solo qualche cane che
sfida in corsa il nostro Toyota, gruppetti di persone fuori dai locali, musica
a tutto volume. Allontanandoci dalla città incrociamo camion, lunghissimi, tipo
modello americano anni settanta, arrancano sulla strada carichi di sassi,
legname, container, fanno transito verso Oruro o La Paz, faticano a salire; la
media e’ di appena 30 km l’ora , sbuffano fumo
bianco e grigio che si dissolve nell’umidità’ della notte, dal tubo esce ad
intermittenza, come se prendessero fiato e poi, fuori tutta! Procedono troppo
lenti, gli stiamo appiccicati, danno il segnale con la freccia lampeggiante in
segno che la strada e’ libera e via li superiamo.
Imbocchiamo la strada sterrata, il padre ferma
l’auto, spegne luci e motore, siamo nel punto più alto. Il cielo e’ bellissimo,
tante stelle, un groviglio di stelle, un concentrato di perle che illuminano la
notte, non c’e’ luna e lo spettacolo e’ ancora più bello.
Aprendo il finestrino si sente il rumore del vento e
l’odore della polvere, le stelle arrivano fino a toccare la strada, alcune
cadenti tagliano il cielo, bisognerebbe esprimere un desiderio, non sono pronta
mi perdo di fronte a tanta bellezza, …. solo nasce dal cuore la gioia di dire
grazie!
22 settembre 2006 Visita a Juan
Decidiamo di camminare. Con las Hermanas andiamo a
trovare Juan, un ragazzo che abita in una casetta di argilla e fango lungo il
rio Arque. Juan e’ paralizzato in tutta la parte bassa del tronco e non ha più
le braccia a causa di un grave incidente e’ stato travolto dal treno. Mi e’
stato riferito che tempo fa ad Arque passava il treno che collegava le comunità
alla città di Cochabamba. Il fiume in piena e le continue inondazioni nel
periodo delle piogge hanno danneggiato la linea ferroviaria.
Ora qua e là ci sono binari divelti, rotaie che si impennano
verso il cielo, carrozze e vagoni arrugginiti, scheletri di metallo che nel
paesaggio arido e ricoperto di sassi danno un profondo senso di abbandono.
Finalmente arriviamo da Juan, abita in una casetta
semplice di una povertà disarmante: un letto, due sedie ed una televisione
appoggiata su di un bidone di gasolina. L’ambiente e’ sporco e c’e’ puzza.
Juan ci accoglie con un dolce sorriso, indossa una
maglietta a maniche corte, larga e sporca, le maniche coprono i moncherini ma
non riescono a nasconderne il movimento; la sua gioia e’ grande, gli occhi e le
espressioni del volto sono sereni, tutto il corpo (tronco) si muove come se
volesse abbracciarci.
Ci sediamo accanto; con il capo si appoggia alla sbarra
di metallo del letto e con un colpo di addominali si gira sul fianco per meglio
guardarci.
Penso subito allo stato di abbandono in cui vive. In
Italia per un disabile come lui la situazione si presenta difficile, figuriamo
qui! Dipende per tutto da tutti, mi dicono che era stato assistito per alcuni
mesi in una casa per disabili in città, ma a sua richiesta ha voluto tornare al
campo perché i rumori di città a lui sono sconosciuti, qui invece riconosce il
rumore del fiume che via via si alza, il passo dei bimbi che vengono a
trovarlo, le voci amiche.
Parliamo tanto, e’ aggiornatissimo, la televisione lo
informa su tutto ciò che accade, peccato che non sia lui a decidere i canali:
infatti a distanza c’e’ un omino che ha il compito di manovrare le frequenze e
quindi capita di passare dalle notizie del telegiornale al pianto delle
telenovelas, dai messaggi pubblicitari al finale eroico di un film.
Parliamo della situazione del medio oriente, del papa e
anche del clima che sta cambiando.
Più volte, senza fretta però, chiediamo se ha bisogno
qualcosa, vorremmo aiutarlo senza fargli pesare la sua situazione, andrebbe
lavato, pulito, ma oggi preferiamo ascoltarlo, fargli capire che noi siamo lì ,
che il nostro sguardo e’ attento e premuroso, che ci siamo accorti di lui, che può
aver fiducia.
A volte e’ facile il rischio di una generosità immediata,
in effetti vorremmo fare tanto ma oggi facciamo un passo indietro, sappiamo che
il vero servizio non raggiunge soltanto i bisogni, ma deve saper accogliere la
persona, non basta rendersi conto che lui e’ povero, ne’ aiutarlo, ne’ vederlo.
E’ importante che Juan sia davanti a me persona, non basta aiutarlo, e’ bene
prima cercare di costruire relazioni con lui.
Ora si e’ fatto tardi, gli do una carezza, ci salutiamo, muove
le spalle come se ci volesse abbracciare, usciamo….. la televisione trasmette
musica rap.
23 settembre 2006 El Dios humano y sencillo - comunidad de Chuimani
Sveglia all’alba. Siamo diretti alla comunità di
Chuimani. La comunità di Arque in cui vivo comprende una settantina di comunità.
La strada di sassi nel letto del fiume a tratti si perde
e bisogna improvvisare. La schiena e’ messa a dura prova.
Non si vede casa, ne’strada, ne’ segni di vita, eppure
procediamo, non e’ una strada senza uscita, c’e’ infatti (non so dove!) una comunità
che ci attende.
Incrociamo alcuni campesinos, a volte appaiono così, mi
sembra escano dal nulla perché non c’e’ niente, e’ mattina presto e per essere già
qui chissà a che ora si sono messi in cammino. Carichiamo due persone, siamo
sardine sul toyota, ma va bene anche così perché più si e’ compressi più si attutiscono i colpi
causati dal cammino dissestato.
Fermiamo l’auto nel letto del fiume, dobbiamo proseguire
a piedi, non si vede nulla in lontananza e non capisco proprio dove stiamo
andando, tanti perché e tante domande che rimangono nella mia mente. Muta
procedo senza lamentarmi. Camminiamo e penso ancora dove stiamo andando, la
quota ritma il respiro e il sole andino e’ uno “schianto”.
Arriviamo finalmente ad un belvedere, una piccola
spianata con qualche casa e la chiesetta. Ad accoglierci un campesino e una
signora.
Hanno già montato l’altare esterno alla chiesa, simile ad
una nostra porta di calcio i cui pali sono ricoperti con l’aguayo, appeso
c’e’ anche qualche fiore finto.
Ci raggiunge una signora anziana e ci mostra il braccio
fasciato.
Dice di essere caduta, in effetti la parte che si
intravede del braccio e’ molto gonfia. Le suore rifanno la fasciatura,
probabilmente il polso e’ rotto, necessita una radiografia, si ma qui non c’e’
nulla!
Penso alla precarietà in cui vivono, tutto così sospeso e
legato alla giornata. Oggi stai bene e domani? Oggi la mamma abbraccia il bimbo
teneramente e domani basta una forte dissenteria con febbre per piangerlo!
Suonano la campana della chiesa, aspettiamo circa un’ora
prima di iniziare la santa messa; ci raggiungono dai cammini più alti anche
donne e bambini con al seguito le loro caprette, più tardi arrivano anche gli
uomini. La comunità si e’ riunita. Celebriamo l’eucaristia, tantissimi bambini.
All’interno della chiesetta con il tetto in lamiera il caldo e’ soffocante, però
non manca la gioia, la comunità e’ in festa. Ed io che non avevo fiducia, mi
ritrovo parte di una comunità che prega e canta in quechua, non e’ vero che non
c’e’ nulla: e’ palpabile, e’ presente, hanno il Dio della vita, il Dio della
speranza, qui a due passi dal cielo, el Dios humano y sencillo.…
7 ottobre 2006 Frammenti di luce
Los cielos cuentan la gloria del Señor
Proclama el firmamento la obra de sus manos
Un dia al siguiente le pasa el mensaje
Y una noche a la otra se lo hace saber.
Questa sera c’e’ la luna piena, e’ grandissima ed
illumina parte della mia stanza, fuori mi sono fermata a guardarla. E’ bello
essere qui e questa sera lo spettacolo
e’ garantito.
Tornando dalla città, già nel tardo pomeriggio,
percorrendo la strada sterrata lungo il fiume, la luna ci ha accompagnato fino
a casa, ma ora a notte piena rivela tutto il suo splendore.
Mi accorgo come vivere in un contesto un po’ precario
dove anche il tempo non e’ il nostro di minuti e secondi, ma il tempo della
natura, con i ritmi della luce e del buio, dove e’ bene vivere il presente
senza la fretta e l’ansia di programmare il domani, ecco in questa dimensione
mi accorgo quanta gioia e carica può dare il sentirsi parte di questa immensa
natura, paesaggi e spazi infiniti in cui sembra più facile “perdersi” che
ritrovarsi. Fino ad ora, grazie a Dio, ci sto dentro bene, in questa dimensione
dell’andare e dell’incontro, per me e’ un grande dono essere qui e cerco di
cogliere tutta la ricchezza che ci sta dentro, anche i sensi si sono come
risvegliati perché iniziano a vedere, a toccare, assaporare le gioie più
semplici: la luce intensa, l’abbraccio dei bimbi, i colori, i profumi, la semplicità
della gente, il sentirmi chiamare per nome, la pazienza e il sorriso dei bimbi
che mi aspettano per darmi il loro sincero e timido buenas dias Giobanna , ecco
questi e altri piccoli gesti danno spessore alla mia esperienza qui.
18 novembre 2006 Raccolta sassi
Sono nell’orto a lavorare quando mi raggiunge padre
Luciano e mi chiede se voglio andare al rio a caricare pietre. Accetto.
Ci incamminiamo e lontano, un puntino nel letto del
fiume, vedo il camion. Lì c’e’ gente. Stanno prendendo pietre per costruire un
ponte lungo il cammino alto, il lavoro andrebbe ultimato prima dell’inizio
delle piogge, sono giorni che il cielo e’ terso ed il sole picchia, e’ bene
approfittare del bel tempo.
Nel vedere il camion così lontano e pensare di doverlo
raggiungere a piedi, già mi viene male.
Continuo a camminare nel letto asciutto del rio seguendo
di buon passo el padre sito che mi spiega che ogni famiglia partecipa alla
costruzione con forza lavoro e così anche noi come parrocchia offriamo le
nostre forze.
Ci avviciniamo al camion e nel cammino noto tante
piramidi di sassi, alcune molto grossi. Da subito capisco che il lavoro che mi aspetta e’ duro ma e’ importante
e serve per la comunità, cammino e mi faccio coraggio.
Finalmente arriviamo. Salutiamo i campesinos: qualche
uomo e tante donne. Osservo cosa devo fare, vedo le donne allontanarsi,
scelgono i sassi nel rio e li portano alle piramidi in attesa che il camion si
avvicini. Donne minute, giovani dal viso già scavato dagli anni, portano sassi
pesanti, sono abituate alla fatica fin da piccole: sono loro che raccolgono le
fascine di legna, accudiscono i figli, portano sacchi di patate per la vendita
ai mercati, cuociono il pane, conducono gli animali al pascolo, e ancora una
volta sono loro, le donne che mi dimostrano come offrire la loro fatica per un
gesto di speranza: un ponte, un semplice ponte.
Lavoriamo, nessuno parla. Solo rumori di sassi e di
respiro affannato (il mio!).Sassi ocra, grigi, rossi, rosa, levigati
dall’acqua, scottano perché scaldati dal sole; oltre alla fatica un pizzico di
timore per il pericolo di ritrovare scorpioni e piccoli serpenti.
Oltre alla paura di incontri pericolosi, ... anche il mio
imbarazzo, io non riesco a portare pietre così grosse come quelle che le donne
si caricano sulla schiena tenendo le mani dietro, pota! (espressione d’obbligo
che ho imparato vivendo qui circondata da vari padri missionari di origine
bergamasca). Non ci tento neppure, ogni tanto mi fermo a prendere fiato, un
attimo di tregua.
Una campesina mi chiede se posso cargarle esta pietra
(caricarle questa pietra), rispondo che purtroppo non ci riesco, chissà cosa
penserà. Arriva il camion alle piramidi di pietra, ora bisogna caricarle nel
cassone. Dal mucchio scelgo le più piccole.
Carichiamo e il padre missionario mi sorprende dicendomi
che il lavoro non e’ ultimato, ora si va al ponte in costruzione, purtroppo il
camion non ha il cassone ribaltabile e così e’ necessario pure scaricare il
tutto.
Mi dispiace scegliere sempre le pietre più piccole, mi
sento un po’ in colpa e così decido di portarne due. Penso che non sia
importante la grandezza del sasso, il numero dei carichi che riesco a fare,
importante e’ la presenza essere lì con loro, sentirsi parte di una comunità
unita anche nel lavoro.
Penso che il sasso grande o piccolo che sia e’ comunque
prezioso e ha valore, a volte la stabilità e l’equilibrio tra due pietre grandi
e’ dato anche dall’incastro di un sassolino mas pequeno (più piccolo), speriamo
che il lavoro di gruppo, la forza e la fatica si trasformino in gioia nel
vedere realizzato un ponte solido che riesca a resistere alla forza dell’acqua.
In questi mesi di missione ho avuto modo di visitare
alcune comunità in quota. I bimbi incontrati hanno le guance arse dal sole, il
viso tagliato dal vento, gli occhi rossi ed e’ un continuo tossire.
Lungo la strada del ritorno, scendendo con la jeep lungo
il cammino alto, incontriamo tanti bimbi, fermiamo l’auto e chiediamo perché
non sono a scuola, e già la scuola, qui le priorità sono altre: raccogliere la
legna, seguire le caprette al pascolo, accudire i fratellino,.. Ho visto
bambini piccoli e cresciuti troppo in fretta che devono curare il fratellino
tenuto sulla schiena avvolto nell’aguayo.
Penso a quale potrà essere il loro futuro, non mi sforzo
di trovare le domande ai miei mille perché, per me ora e’ tempo di guardare,
incontrare, imparare, osservare.
Mi piace la dimensione dell’essere in cammino, e’
importante per me andare incontro alla gente, così semplicemente camminando. Fermarmi,
valorizzare ogni incontro, quando il quechua diventa un ostacolo e a volte
basta un semplice saluto un sorriso sincero per accorciare le distanze e
superare la timidezza, mi piace vivere la missione anche così, spendere tempo
con le persone, farmi sorprendere dalla loro diversità ed accoglierle come
ricchezza.
.... vita in missione: tanti gli incontri,
esperienze e momenti particolari vissuti, tante le domande, la fatica. Mi
ritrovo a fare cose e a vivere situazioni che non avrei mai pensato però ci sto
dentro bene, credo che la missione mi fa essere un po’ più flessibile, aperta,
non saprei bene come dire, fa cadere le paure, ti distacchi un po’ dalle cose,
punti sulle persone e ogni giorno devi dare prove della fiducia in Dio che
provvede agli uccelli dell’aria e ai gigli dei campi, ti senti uomo libero,
totalmente disponibile all’amore di amare.
11 dicembre 2006 Immigracion
Armata di tanta pazienza, fiducia e un pizzico di
umorismo, alcuni dei requisiti indispensabili per non sclerale mi presento
all’immigracion per il carnet di permanenza boliviano. La mia pazienza e’
subito messa alla prova: la polizia mi richiede una foto con sfondo rosso da
consegnare con altri documenti all’interpool, qui invece mi richiedono foto
tessera con sfondo bianco, qualche minuto di attesa, il tempo necessario perché
gli impiegati si consultino e ok, va bene anche sfondo rosso. Vado di prima
mattina a prelevare il sangue per l’esame HIV, gli esiti saranno pronti la
mattina seguente, torno per ritirare il referto, ma aime’ manca la firma del
medico e così dovrò ripassare il giorno seguente. Recupero dopo alcuni giorni
tutti i documenti e vado all’ufficio dell’immigracion ma purtroppo tutto
inutile, gli uffici sono chiusi perché c’e’ manifestazione.
Torno a casa senza aver concluso nulla.
Un caro amico mi ha detto che tutto serve, anche le realtà
burocratiche incasinate per vivere relazioni, esercitare la pazienza, cogliere
sguardi e parole che rendono vive e presenti delle persone di fronte a noi,
simpatiche o no, di aiuto o di stress, comunque da comprendere ed amare.
8 gennaio 2007 La croce del mondo
Non c’e’ più la croce: camminare, avvicinarmi alla vetta,
guardare in alto e non vedere più la croce mi da un senso di vuoto. Salgo di
buon passo. La croce e’ piegata a circa mezzo metro dal suolo, piegata a
novanta gradi, il metallo a tratti e’ nero come se fosse colato forse per
l’effetto di un fulmine, chissà.
Così piegata mi da un senso di tristezza e dolore, mi
sembra racchiudere tutti i dolori e le sofferenze del mondo, di quanti lottano
ma non riescono ad alzarsi.
Le braccia si sono leggermente incurvate e distese,
ora guardano il cielo, due braccia aperte desiderose di affetto, un abbraccio
sospeso nel vuoto!
28 gennaio 2007 Disgrazia nella comunità di Fundacion
Oggi e’ un giorno triste. Nella comunità di Fundicion
c’e’ stata una disgrazia: la montagna ha scaricato pietre e terra travolgendo
una casa, quattro le vittime: papà, mamma e due bimbi.
Le salme sono state deposte nel salone vicino al municipio
di Arque. Arrivano tanti campesinos, i familiari hanno un mantello nero in
segno di lutto. Tre salme sono disposte nelle bare, il bimbo invece e’ disteso
su di un aguayo coperto da un lenzuolo, i piedini rimangono nudi. Nel locale
vicino due uomini stanno costruendo la bara con assi grezzi, c’e’ tutta la
comunità. Una donna anziana si avvicina alla bara e piange, piange, il pianto
di una donna che ha perso il figlio, i nipoti, mi prende una cosa dentro, il
suo grido di dolore e’ accompagnato dal picchiare del martello sui chiodi;
anche la bara del piccolo ora e’ pronta.
Aiuto le signore a scegliere le foglie più grandi per
preparare le corone, le leghiamo con un filo di lana, quattro corone per ogni
bara, pitturano di bianco la bara del bimbo, i parenti distribuiscono alcol e
foglie di coca, accetto le foglie di coca.
Mi chiedono se ho una macchina fotografica, dico sì e
raggiungo la casa per prenderla.
Sono trascorse alcune ore, un uomo mi chiede se posso
scattare alcune foto, acconsento, mi avvicino alle bare e scatto le foto, ma
con grande sorpresa mi invitano a salire sul palco, le bare non sono ancora
inchiodate, tolgono le corone e mi fanno cenno di avvicinarmi per scattare le
foto ai volti, no, no, aspettate un attimo, ma perché , non posso, non sono
pronta. Cerco nella sala qualcuno: la suora, il padre sito, un volto famigliare
che mi dica cosa devo fare, non c’e’ nessuno.
I parenti delle vittime sono attorno alle bare, mi
dicono: più vicino, più vicino!!
I volti sono gonfi, pieni di lividi, tutto e’ blu, i
tratti sfigurati, il labbro rotto, non capisco quale sia il papà e quale la
mamma tanto i volti sono sfigurati, scatto le foto, i parenti sistemano il
capo, rimettono il cappello e chiudono la bara.
E’ la prima volta in vita mia a trovarmi di fronte alla
morte. Morte violenta, improvvisa, innocente.
Ho terminato, tolgo il rullino e lo consegno ad un
parente, non riesco più a capire l’ordine delle cose, che cosa devo fare,
qualsiasi cosa che mi viene richiesta e’ vuota, sospesa, non ci sono con la
testa, i miei pensieri sono tutti lì inchiodati come i chiodi nel legno della
bara. Vorrei correre, gridare, liberarmi dalla rabbia e dal caos che ho dentro.
Ho bisogno di aria, esco .
Mi raggiungono i bambini che erano presenti nel teatro e
mi fanno mille domande: come sono i morti, se i morti sono “vivi”, se domani
saranno ancora lì e se saranno ancora immobili, .. basta!! Lasciatemi in pace.
Poi mi fermo. Prendo un profondo respiro e con pazienza spiego loro che sono
morti ma lassù nel cielo stanno vivendo e ci guardano, anche se sono distanti
possiamo vederli di notte alzando lo sguardo, su’, su’ nel cielo, le stelle che
brillano sono i loro occhi.
4 febbraio 2007 Osservando i campesinos in piazza
Oggi c’e’ tanta gente in piazza, sarà perché domani
inizia la scuola e i ragazzi del pueblo sono rientrati da Cochabamba, sarà la
bella giornata di sole dopo giorni di pioggia; mi godo la gente, mi godo la
piazza con i suoi colori, i profumi, le voci, i suoni.
Sono seduta sulla panchina in pietra fuori dalla
missione, sto riposando ma la mia mente e’ troppo impegnata a catturare
particolari, immagini di vita quotidiana, così semplice, così lenta, così
diversa dalla nostra.
Tante donne già di prima mattina sono arrivate fino a
qui. Oggi e’ giorno di mercato, sono arrivate con i loro cesti, gli aguayo e i
muli carichi di frutta e verdura.
La strada parallela alla piazza e’ lastricata, tutta in
salita, … o discesa dipende dal lato che si prende. Osservo e mi sorprende la
cura con cui le donne dispongono cipolle, pomodori, platani, patate, tutto
ordinato in tante piccole piramidi; considerando la pendenza del cammino le
ammiro per il lavoro di abilità e pazienza.
Vendono tutte le stesse cose, ma hanno una cura
particolare e tanta attenzione, come se ogni donna vendesse prodotti in
esclusiva. Tante mamme, tanti bambini. La merce e’ disposta per terra ai piedi
degli alberi. Partiamo dal basso: all’angolo della piazza c’e’ un grande albero
secolare. Qui c’e’ donna Domitilla.
Vive ad Arque, e’ proprietaria di una
piccola bottega e sulla cerata azzurra oltre a verdura e frutta propone altri
articoli: sapone, fiammiferi, carne secca, biscotti, gelatine, patatine tipo
dixi giganti di colore verde, giallo, arancione, mais, gomitoli di lana, sandali,
lamette, …di tutto e di più. Domitilla e’ robusta, suda anche in piena ombra,
veste un grembiule con tante tasche, e’ una donna di mezza età. Quando mi vede
mi saluta e mi chiamata vicino, Senorita venga,… inizia così a parlarmi dei
figli lontani in Argentina e Italia, di quando ad Arque passava il treno con
tutto il lavoro e gli scambi che offriva.
Domitilla vive sola, ogni domenica e’ puntuale, presente
in piazza, ha il posto fisso: il grande albero. Tra le radici e il ciottolato
della strada c’e’ un avvallamento e lei si siede li. Se hai bisogno ti da
consigli direttamente dal suo trono, non si scompone, non si muove, consigli
mirati come se conoscesse a distanza la qualità di ciascun articolo in vendita.
E’ convincente, sa fare il suo mestiere, anche se ti fermi solo per guardare,
alla fine finisci sempre per comperare qualche cosa da lei.
Salendo lungo la strada c’e’ dona Isabel, più minuta,
discreta, anche il suo albero e’ più piccolo. In un giorno di mercato ho
comperato da lei dei peperoncini, avevo nostalgia di spaghetti aglio, olio e
peperoncino. Non conoscendo la proporzione quantità/ prezzo ho chiesto
l’equivalente di un boliviano, non l’avessi mai fatto! Riempiva il sacchetto,
penso non abbia mai venduto così tanti peperoncini in un solo istante, infatti
ogni volta che mi vede mi domanda: Hermana quieres locotos?
Oggi e’ la domenica dei fichi. Le donne li hanno
trasportati nelle ceste in vimini e disposti sul plastico azzurro, sono sedute
a terra, la pollera copre le gambe. Sono mamme giovani, le guardo ed alcune mi
sorridono. Hanno con sé il bimbo piccolo che adagiano nel canaletto di scolo
(ora asciutto) dell’acqua che scende verso il fiume, come se disposti in una
mangiatoia.
I bimbi piccoli sono tutti lì, giocano con un nocciolo,
lo fanno scivolare nel canaletto e poi lo recuperano più in basso e corrono al
punto di partenza e ripetono il gioco. Non servono tante cose, giochi preziosi,
qualsiasi idea piace subito a tutti.
E’ quasi ora di ritirare la mercanzia e di rimettersi in
cammino. Ora si e’ alzato il vento ed alcune donne si stanno preparando per
tornare alla loro comunità. Le seguo con lo sguardo, hanno un passo lento
dovuto al carico trasportato sulla schiena.
Arriva un uomo con un cavallo e tre muli. Lo aspettano
alcune donne con i loro bulti pronti da caricare. Lascio carta e penna e decido
di aiutarli. E’ la prima volta che carico un mulo. Sistemiamo i bulti, l’uomo
mi passa una corda, devo prenderla da sotto la pancia del mulo; il vecchietto
mi dice di stare lì così, lui intanto bilancia il carico, regola le corde,
prepara i nodi,… io prego che il mulo non si arrabbi proprio ora: sono a
portata di calcio, vedo che e’ calmo, abituato a questi tira e molla. Le donne
mi precisano che devono tornare a Kara Kara e il carico deve essere fissato
bene.
Ale’ abbiamo terminato.
Accompagno i miei amici per un tratto del cammino lungo
il rio, io, tre donne, un uomo, un cavallo, tre muli e un cane.
Cammino con loro per un po’, poi decido di fermarmi e li
saluto, mi invitano a prendere dei fichi.
Mi fermo ancora un po’ seduta sul muretto di contenimento
del fiume e osservo i miei amici allontanarsi, tanti puntini colorati nell’aridità’
del rio, poi riamane solo il colore delle pietre del letto del fiume, ancora il
vento, qua e là si alza la sabbia del fiume e sale, sale fino a sporcare
l’azzurro del cielo. La gioia e’ con me.
15 maggio 2007 Moto trial Alp Beta 250
Sveglia presto e partenza per la comunità di Tujsuma
prendendo il cammino del rio e non la strada alta che richiederebbe quattro ore
di auto.
Il cielo e’ azzurrissimo. Il mio abbigliamento a strati
non riesce a sconfiggere il freddo pungente.
Subito il fiume, padre Luciano lo attraversa solo in
moto, poi lascia la moto e viene di qua dalla riva a prendermi e mi aiuta ad
attraversarlo. Sempre le solite regole: non guardare l’acqua e tagliarla in
orizzontale con le spalle a monte, l’acqua mi arriva fino al ginocchio, sono
quattro i punti del fiume da attraversare e tra una bagnata e l’altra, via si
riparte in moto.
Sono un ghiacciolo, i piedi (calzo i sandali) non
rispondono, sono quei momenti in cui pensi: chi me lo ha fatto fare, a questa
ora sarei con i ragazzi del collegio e il buon giorno meno traumatico e più
caloroso di quello che sto vivendo. Ale’, ale’ ultimo guado, lasciamo il rio e
iniziamo a salire.
Grazie alla mia statura ho un margine di alcuni
centimetri sopra la testa di padre Luciano, anche stando seduta dietro riesco a
vedere il cammino che non c’e’ e ciò che c’e’ e che mi aspetta.
Ad oggi la ruspa non e’ ancora passata a sistemare il
cammino e il sentiero e’ veramente da inventare.
Tante buche, sassi, fango, e’ un vero percorso da trial e
padre Luciano si sta divertendo, io non so bene come tenermi a lui, però se non
lo abbraccio volo via e così lascio ogni timore ed imbarazzo e mi ancoro bene
alla sua vita.
Dopo solo un’ora di moto non riusciamo più a salire,
lasciamo la moto vicino ad un albero, stacchiamo la candela, zaino in spalla e
via. Abbiamo intravisto il sentiero più in alto ma non sappiamo dove prenderlo
decidiamo di tagliare il canalone salendo lungo la massamora ormai asciutta.
E’ il fango che i vari canali di scolo dell’acqua durante il periodo delle
piogge hanno trascinato a valle nel fiume.
Sono appassionata di montagna e so che non si deve fare così.
Salire in verticale su un terreno così mi spezza le gambe, però ho fiducia e
seguo fedelmente l’apripista.
Finalmente ecco il sentiero, incontriamo alcuni minatori
che lavorano nelle miniere di stagno, ci fermiamo e parliamo un po’, sono
organizzati in cooperative e confermano che c’e’ lavoro perché il prezzo dello
stagno e’ salito di qualche dollaro.
Superiamo la comunità di Abra, siamo già in quota e come
si dice in gergo montanaro ora e’ solo
avvicinamento. Si e’ alzato il vento, prendiamo un sentiero che … non c’e’,
scendiamo lungo una pietraia, non c’e’ neppure la cacca delle capre segno che
stiamo proprio inventando il cammino. Nessuno passa di qui, solo noi due miseri
pellegrini che cercano di raggiungere il sentiero più basso.
Arriviamo a Tujsuma a mezzogiorno, alcuni campesinos
avvisano le suore dicendo che sono arrivati due caballeros, pranziamo insieme e
poi celebriamo la messa.
Le fatiche, il lavoro, la stanchezza, le gioie, gli
insuccessi dei primi discepoli nell’annuncio della parola penso che siano un
po’anche i nostri. Le fatiche e le
distanze da coprire, il condividere con la gente delle comunità, non tutto e’ così
facile e immediato.
Cos’e’ che ci spinge ad andare, a cerca un cammino che
non c’e’? Salire lungo canaloni e scendere per pietraie cercando un sentiero, cos’e’
che ci spinge al sacrificio di vivere ore di cammino in quota con il sole che
picchia ed il vento che ti ubriaca?
Cos’e’ che mi muove dentro? Non lo so, non ho una
risposta, però so che c’e’ qualcosa altrimenti non sarei neppure qui in quel
della Bolivia.
Padre Luciano da bravo prete e uomo di fede più di me, e’
convinto: e’ lo Spirito di Dio che ci guida e ci orienta, e’ la gioia nel
condividere la parola e la convinzione che e’ palabra de Dios, e nelle fatiche
poi prevale sempre un senso di pace e serenità, irrompe la felicità, il dono
della gioia, la stessa gioia che abbiamo provato al ritorno prendendo la moto e
correndo lungo la strada di sabbia che affianca il letto del fiume, la stessa
semplice gioia che ogni sera, nonostante la stanchezza ci fa gridare ancora una
volta grazie!
Giugno 2007
Silenzioso il passo di chi va a cercare
Silenzioso il passo di chi va a cercare
E silenzioso il credo dell’amore,….
Ho camminato e sudato forte tanto da tremare, poi
recuperato il fiato ho sentito in me il coraggio continuato. Biagio Antonacci
da “C’e’ silenzio”.
Settimana di scuola corta. I professori che insegnano al
collegio scendono in città per riscuotere lo stipendio e quindi la scuola riprenderà
tra qualche giorno.
In questi giorni di vacanza mi piacerebbe ritornare a
Tujsuma ma il cammino e’ lungo e a tratti si perde. Decido comunque di tornare
ed il padre mi consiglia di fare il cammino insieme a Giancarla, Edgar, Edwin e
Martin, alcuni dei ragazzi che vivono ad Abra ed ogni domenica mattina scendono
a Arque e si fermano da noi al collegio per poter frequentare la scuola. Così
ho deciso: li aspetto e terminata la scuola partiamo.
Mi spaventa il sole e il caldo del pomeriggio (partiremo
verso le quattordici). Zaino leggero, qualche mandarino, del cioccolato da
condividere, acqua. Ci aspettano quattro ore di cammino, appuntamento con le
suore presso la comunità di Abra per il tardo pomeriggio.
Mi piace stare insieme ai ragazzi e dimostrare la mia
amicizia e vicinanza anche così, insieme lungo la strada verso casa.
Attraversiamo il fiume tenendoci per mano: siamo in otto
più un cagnolino che guada con noi, poi la corrente lo trascina giù giù
lontano, ma ogni volta fortunatamente guadagna sempre la riva opposta e in un
attimo ci raggiunge.
Lasciamo il rio e salutiamo i bimbi che hanno camminato
con noi; le strade si dividono: noi a Tujsuma e altri ragazzi verso le loro
case in altre comunità.
Giancarla nel nostro andare mi chiede più volte se
desidero riposarmi, e’ molto attenta e premurosa.
Suggerisco di fermarsi più avanti, di decidere lei dove e
quando; mi offre del pacai (frutto rinfrescante tipo fagioli rinchiusi in un
tubero), le dico che ho dei mandarini e cioccolato da compartir.
Saliamo, saliamo, solo sassi, sole e fatica.
Giancarla mi parla della sua casa, degli animali: il
toro, le pecore, le capre, il cane, in questi giorni di vacanza dovrà curarli,
raccogliere anche la legna, lavare i vestiti, prendere l’acqua alla fonte, fare
i compiti,…
Vedo delle piramidi d’oro, lei mi spiega che e’ avena e
viene posta così per non farla bruciare al sole, solo l’avena più esterna e’
gialla e secca bruciata dal sole, mentre i fasci più interni rimangono protetti
dal calore e quindi un po’ più verdi e di migliore qualità come foraggio per
gli animali.
Mi parla della semina (a ottobre), del terreno che deve
poi riposare alcuni mesi, conosce i ritmi della natura, dimostra un legame
molto bello con la terra e gli animali, la stessa competenza e conoscenza che
un nostro bimbo ha per i videogiochi ed il computer.
Continuiamo a salire. E’ curiosa, mi chiede com’e’ il
cioccolato, se e’ largo o corto, se l’ho comperato in Italia o alla tienda,
quanti boliviani ho speso per acquistarlo. Ok, le domande evidenti mi fanno capire
che e’ tempo per fermarsi a riposare e condividere un buon cioccolato. Si
avvicina anche Edgar seguito da Edwin.
Edgar mi indica la casa dei suoi nonni, lui e’ diretto là
e aiuterà a raccogliere il trigo.
“por aqui’, por aqui” mi dicono i ragazzi indicandomi il
cammino. Giancarla si ferma ed esclama: aqui’ hay agua!! Non capisco, sono
perplessa, e così tutto secco, non mi resta che guardare e seguire i movimenti
sicuri di chi qui vive e conosce tutti i segreti lungo il sentiero. La bimba
solleva una pietra, sotto c’e’ la canna dell’acqua che porta acqua nelle varie comunità,
toglie nel mezzo una spina robusta di quelle che bucano le ruote del jeep, la
pressione fa zampillare l’acqua con un getto a mo di doccia, impossibile non
resistere all’immediato refrigerio, tutti sotto la doccia felici di
rinfrescarsi.
Saliamo ancora, siamo arrivati alla casa di Giancarla;
lei ripartirà domenica mattina verso le cinque lungo lo stesso sentiero e venerdì
pomeriggio puntuale passerà ancora di qui per tornare a casa e ridiscendere
nuovamente domenica.
Quante ore di cammino, quanti passi, quanta fatica e
sacrifici vivono questi bambini per andare a scuola, penso ai nostri bimbi
accompagnati in macchina fino all’entrata della scuola, avvolti in mille strati
di vestiti ai primi freddi e gonfiati dagli zuccheri delle merendine più
sfiziose, con cartella e corredo nuovo in linea con la moda ad ogni inizio di
nuovo anno. Mi domando se sia meglio qui con tutta la precarietà e la semplicità
del vivere alla giornata, o lì da noi con tante sicurezze e comodità che a
volte distraggono dal valore vero delle cose, dove tutto sembra dovuto e le
parole fatica e sacrificio per i più giovani sono di difficile comprensione.
Non lo so, a volte non basta neppure fermarmi a guardare
il cielo stellato unico di Bolivia e perdermi nella bellezza dei paesaggi per
trovare le risposte ai tanti perché, le mie domande rimangono, più preoccupante
sarebbe non averne!
Arrivo a Abra tardo pomeriggio, ci sono le suore ad
aspettarmi; saluto Martin con il quale ho condiviso l’ultimo tratto di cammino,
ogni fatica scompare, … mi fermerò a Tujsuma alcuni giorni, sono stanca ma
felice.
Ultimi saluti, ultimi abbracci
Ultimi saluti, ultimi incontri, ultimi respiri profondi
quasi per catturare qualcosa di prezioso e tenerlo dentro e portarlo con me,
ancora lacrime.
30 luglio 2007 Ciaoooooooooooo!
Sveglia presto, non ho dormito nulla; la mia mente ricca
di pensieri era sveglia, non voleva scollegarsi e riposare un po’.
All’aeroporto valigie e biglietto tutto ok, un lungo
abbraccio, ancora lacrime, e’ ora e devo proprio andare. Ho superato i
controlli, sono di qua dalla sala dei saluti, i vetri sono scuri, non riesco a
vedere oltre, piango ancora, le persone mi guardano, a questo punto non vedo
l’ora di partire!!
Arrivo a San Polo, freddo allucinante e in aeroporto c’e’
pure attiva l’aria condizionata, devo attendere circa tre ore per il prossimo
volo, oltre a camicia e maglione indosso anche il cappellino, tanti i turisti
italiani in coda davanti al terminal dell’Alitalia anche loro cercano di
coprirsi come più possono.
Mi imbarco, c’e’ qualcosa in me che non va, non sto bene,
forse perché sono due notti che non dormo, forse il freddo, forse lo stato
d’animo contorto, sono passate solo tre ore di volo e già mi viene da sboccare:
ho caldo, freddo, vedo delle luci strane, il rumore dell’aereo mi entra dentro
e lo stomaco mi si contrae, … decisamente non sto bene.
Decido di chiedere aiuto, mi domandano se viaggio sola,
se mi sono imbarcata a San Paolo o se ho alle spalle altre ore di volo, mi
fanno bere coca cola con zucchero e due pastiglie, ma sono alte un centimetro e
tonde come i bottoni del pigiama del nonno, sembrano due monete da un
boliviano, a fatica mando giù.
Dopo mezza ora ri vomito di brutto e addio pastiglie,
sono già a quattro sacchettini.
Arriva anche il vice comandante con giacca nera con i
gradi color oro, un bel uomo abbronzato con capelli corti bianchi, fosse solo
per l’aspetto sarebbe per me un ottimo ricostituente, ma alla sua richiesta del
mio passaporto e della carta di imbarco perde subito dieci punti nella mia
tabella di giudizio. Perché vuole vedere da dove arrivo? Ho l’impressione di
essere vista come un’appestata, mi chiede anche un recapito telefonico, penso: organizziamo
una cenetta insieme? Macche’ qui mi vogliono controllare!! Dalla Bolivia, sì
arrivo dalla Bolivia, ma non sto trasportando capsule di coca, ne virus di
qualche malattia strana, dai ora basta domande, lasciatemi in pace!
Mi assistono fino a Parigi e mi chiedono se sul tratto
per Milano voglio l’assistenza. Rifiuto, prima di scendere mi consegnano i
documenti, ho tanta sete e lo stomaco mi brucia.
Sul cielo di Milano sbocco ancora, ormai non ho più nulla
nello stomaco sono solo forti contrazioni, mi fanno male gli addominali tanto
che dopo l’atterraggio, quando mi alzo, per un istante non riesco a rimanere
diritta. E dire che ho preso dei voli senza turbolenze, così tranquilli e
lineari, miiiii non ci crede nessuno. Ho all’attivo ben sette sacchettini.
Arrivo a Milano in orario, ritiro le valigie, sono
stremata come se avessi fatto il viaggio a piedi, mi siedo ed aspetto Andrea
con Martina e la piccola Federica ancora in pancia.
Sono a casa, a nanna fino al giorno dopo.
Mi sento in debito.
Se da subito iniziassi
a ridonare ciò che nella vita ho ricevuto senza perdere neppure un
attimo, un pensiero, un secondo di tempo, penso che non potrei farcela ,.. dico
grazie per la vita, i genitori, le persone incontrate, gli amici che mi hanno
seguito a distanza, di quanti con i loro consigli e il loro stile ed esempio di
vita mi hanno indirizzato verso questa strada.
Il cammino non finisce qui, e’ come se mi accompagnasse
una sana inquietudine che mi spinge a non adagiarmi al minimo, ad andare oltre,
amare senza dosare le forze, senza tanti calcoli, ma non e’ facile, un misto di
gioie, slanci e paure segno della nostra natura umana. Cerco se posso di
capire.
Mi piace pensare che Miguel, Anita, Eleuterio, Ruth,
Marta, Margherita, Antonia, Giancarla, Sonia, Efrain, Octavio, Lucy, Simon,
Silvia, con tutti gli altri ragazzi e bambini che rendevano piene le mie
giornate, che tutti gli amici incontrati, le persone speciali che mi hanno
accompagnato in questa esperienza, i campesinos e la gente comune, mi piace
pensare e sono sicura che lassù in quota, nelle loro comunità al campo, nel
loro semplice andare e nel vivere quotidiano in missione, che nel silenzio
della notte o nella voce del vento possano sentire ancora l’eco dei miei
grazie!!
Un ritorno che e’ ripartenza
Ai confini del cielo / Comunita’ di Tujsuma 17 novembre 2008 - 13
novembre 2010
Tujsuma, Bolivia. E’ una piccola comunità rurale (al
campo lontano dalla città) composta da 18 famiglie prevalentemente minatori e
campesinos. L’altimetro indica 3870 metri sul livello del mare; il pueblo si
trova sulla cordigliera centrale nel dipartimento di Cochabamba, a sud della
città.
Il pueblo di Tujsuma si anima grazie alla presenza di 150 bimbi e ragazzi di età compresa tra i 6 e 21 anni che ospitiamo nell’internado (collegio) dando vitto e alloggio per tutta la settimana permettendo loro di frequentare la scuola pubblica.
Sono ragazzi che vivono nelle comunità a circa 3 e 4 ore di cammino da Tujsuma, rimanendo con noi tutta la settimana possono frequentare quotidianamente la scuola municipale di Tujsuma.
Scuola municipale comunità di Tujsuma
Costruzione nuovo internado di Tujsuma
Monsignor Angelo Gelmi inaugura la nuova
struttura
Tujsuma, Arque, Bolivar e le loro comunità sono le zone più povere della povera Bolivia.
22 novembre 2008 Destinazione Tujsuma
Lasciamo la città all’alba diretti a Tujsuma, il jeep e’ stracarico; dobbiamo essere autonomi per circa un mese e considerando anche la mia valigia, lo zaino, i viveri,la tanica della gasolina, direi che l’auto e’ strapiena. Le piogge sono già iniziate e quindi dobbiamo prendere il cammino alto che e più lungo, circa 6 ore di jeep dalla città.
Lasciata la città ci fermiamo a fare il pieno ma ci dicono che non hanno gasolina, come non c’e’ gasolina? Non possiamo continuare, inversione e torniamo verso la città, altri due distributori ma sono deserti, solo l’omino seduto che con il palmo della mano rivolto al cielo ci indica che le pompe sono vuote,… benvenuti in Bolivia !!!
Ma come, penso, e’ ricchissima di gas naturale e ora alcuni dipartimenti sono bloccati per la mancanza di gasolina. Paradosso dei paradossi, ma non ci addentriamo in discorsi e ragionamenti politici ed economici, il problema e’ che abbiamo solo una tacca e dobbiamo fare il gas. Be tentiamo il terzo distributore e gracias a Dios possiamo fare il pieno e così finalmente torniamo sul nostro cammino: destinazione Tujsuma.
Lasciata la strada asfaltata iniziamo a salire e il cammino sterrato non e’ comodo, anche il jeep in alcuni punti sembra affaticato e si sale in prima marcia 4x4.
Arrivati in quota il paesaggio si apre e il cammino e’ piu’ dolce, sempre mi sorprendo dinnanzi a tanta vastita’. Guardando in fondo solo montagne, e dietro ancora montagne, e poi lontano ecco ancora altre montagne, hanno profili con luci e colori diversi, non presenza umana,… ogni tanto un gregge, una donna, un bambino…., solitudini di uomini persi nell’infinito.
Io non vedo comunità, non vedo case, eppure famiglie vivono qui a qualche ora di cammino, vivono al campo e sopravvivono con i loro usi, costumi e radici culturali, i loro visi sono scavati dalle stesse rughe, dai solchi identici dei paesaggi, dal sole andino che brucia, scalda, da’ luce, raggi che rendono dolce il paesaggio all’aurora e magico di luce il tramonto, sole che abbaglia, avvolge e riscalda la terra.
Terra bendecida, venerata,
considerata madre,….sole caliente che anche qui in quota insieme alla fatica della gente
aiuta a generare la vita!!!
Ogni giorno porta dentro un po’ di amore che ci fa
restare in orbita Jovanotti
Novembre 2008
Sveglia alle 5.50, ma nella mia cameretta e’ già giorno
perché il tetto in calamina ha una striscia trasparente per far filtrare luce e
calore, in cameretta ci sono 9 gradi ed e’ estate, miiiiiiii chissà questo
inverno!! Mi lascio baciare dalla luce ringraziando il giorno che nasce e mi
viene donato. Ho imparato le strategie del vivere in quota, se ci penso mi
viene da ridere, ma credo che rientrino nello spirito di sopravvivenza che
insieme a tanta gioia e slancio mi aiutano ad iniziare bene un nuovo giorno…,
c’e’ tutta una logica che sto perfezionando, come porre i vestiti per evitare
il trauma caldo-freddo del risveglio, disposti sulla sedia sotto la calamina
(il mio solarium) nella speranza che un pizzico di calore possa filtrare nei
tessuti, sono lì pronti e preparati secondo l’ordine inverso di come mi svesto
meno tempo per pensare e coordinare i movimenti uguale meno freddo, due dita di
acqua sugli occhi per svegliarmi, colazione tutta vestita e imbacuccata, quasi
per scaldarmi e trattenere calore per poter superare l’impatto con l’aria
frizzante …, ma poi nel raggiungere i ragazzi giù all’internado rabbrividisco
nel vederli lavarsi con acqua gelata, anche i capelli, brrrrrrr, il calore dei
saluti mi riscalda e di nuovo eccomi qui con loro ad iniziare un nuovo giorno,
150 ragazzi che si sentono amati anche solo con il calore di un sorriso.
91 maschietti e 48 bimbe, come sempre faccio fatica ad
imparare i nomi, soprattutto le bimbe sono timide e si coprono con la loro
manta (scialle) , altri, i più socievoli, sono anche i più monelli e vivaci.
I
più pestiferi tra i piccoli sono Milton, Jesus, Genaro, Sandro e Primo. Il
capo, il discendente degli Inca , si chiama Cruz Concha Jesus , ha 7 anni,
occhi neri piccoli leggermente a mandorla che brillano incorniciati in un
visetto olivastro, e’ un bimbo di bassa statura rispetto alla sua età,
fisicamente flachito (magretto) , ma e’ un vulcano di energie e imprese poco
corrette.
E’ capitato che insieme ad altri ninos hanno scavalcato
il muretto di cinta dell’internado sconfinando nel terreno di dona Naty, un
piccolo orto coltivato con al centro un albero da frutto (il tumbo) e cosa fare
davanti a così tanta delizia facile e gratuita? Semplice, arrampicarsi e
cogliere i frutti che dona Naty controllava e custodiva come oracoli in attesa
della piena maturazione.
Un pomeriggio invece di scendere a scuola, a turno si
divertivano ad entrare nella ruota di scorta del camion che fa trasporto
escolar e quando sono stati da me sorpresi e rimproverati, via giù correndo e
io con loro, ma un attimo e mi hanno seminato. E’ uno spettacolo vederli
correre lungo sentieri ripidi, la totale sicurezza nel riconoscere i sassi di
appoggio e le pietre da evitare.., tanti grilli colorati che fin da piccoli
hanno ereditato un legame prezioso con la
natura, anche se nel contesto in cui vivono (il rio, il freddo, i
fulmini di alta quota,..) non sempre e’ così madre generosa.
Ricordo i primi giorni tra le solite domande e i loro
mille perché della serie dov’e’ l’Italia, quante ore di cammino per arrivare,
se c’e’ il rio,.. alla mia risposta che non si può arrivare camminando perché
si deve prendere l’aereo e superare l’oceano, Alejandro mi ha risposto che lui
impiega meno tempo dell’aereo perché corre più veloce dell’acqua del rio!!!
Le giornate che sto vivendo qui al campo sono quindi
molto semplici, comunque anche un po’ faticose, però ci sto dentro bene perché
so che c’e’ qualcuno e qualcosa di più grande che mi da’ forza e riesco così a
superare i disagi del freddo, della fatica della quota, delle punture delle
pulci, e riposo serena e convinta di aver donato un pizzico di amore, AMORE CHE
OGNI GIORNO MI FA RESTARE IN ORBITA!!!
Febbraio 2009
Il tempo speso per gli altri e’ già tempo guadagnato ed
e’ già testimonianza a favore del vangelo, tutto dipende dallo spirito giusto,
uno spirito che ignori la febbre della riuscita, la ricerca del consenso e
sappia affidare tutto a Colui che ci dona ogni mattina una nuova giornata, la
benedice e la custodisce nella memoria del suo cuore (L.Pozzoli dal libro “Il
respiro di Dio”).
Scrivo utilizzando questo potente mezzo elettronico ma e’
come se mi fermassi a parlare e spendere un po’ di tempo con ciascuno di voi,
vi penso impegnati diverse attività, nel lavoro e impegni vari. Io sto bene,
anche qui il lavoro non manca, e’ un po’ diverso dall’Italia, ma si sa che in
missione ci si adatta e ti ritrovi a fare di tutto e di più.
La giornata inizia presto e termina tardi, sempre con i
ragazzi, dalla sveglia del mattino ai saluti della sera. E’ bene far lavare i
piccoli, pettinare le bimbe, disinfettare i dormitori, seguire i ragazzi nei
compiti, nei giochi e nella formazione, pelare papas, tutto sempre insieme
a loro, non un attimo di tempo per tirare
un respiro più lungo del solito!!
Fortunatamente dall’inizio delle scuole ci affiancano due
professori che hanno vissuto e studiato in città, e’ stato loro assegnato il
lavoro alla scuola qui al campo, però l’alloggio offerto dall’alcaldia (comune)
non ha ne’ luce ne’ acqua , ne’ bagno e così credo che il vivere all’internado
con i ragazzi in una struttura più servita e comoda sia per loro la soluzione
ottimale e per noi un aiuto prezioso.
Il lunedì e mercoledì mattina aiuto dona Flora e suo
marito don Leonardo a preparare il pane per i nostri ragazzi (40 kg la bellezza di 600
pani). Farina, sale, levatura e miele
li forniamo noi grazie agli aiuti alimentari a favore dell’internado che
riceviamo periodicamente da Cochabamba , preferiamo non acquistare il pane in
città e dare lavoro ad una famiglia di Tujsuma.
Già di prima mattina preparano l’impasto e il forno a
legna, io li raggiungo quando i ragazzi sono andati a scuola e…, via con le
mani in pasta a preparare tante palline.
All’inizio, non avendo la misura della quantità di pasta
per ogni pane e non sapendola lavorare bene, creavo delle palline da rugby e
non belle rotonde, dona Flora sempre mi diceva ay Giobana, asi’ no se puede,
ora me la cavo bene! Ho avuto dei bravi maestri, riesco a strappare
dall’impasto quantità uguali di pasta e con movimenti rotatori delle mani sul
tavolo la lavoro preparando due pani alla volta al ritmo dei miei amici
boliviani. Com’e’ che dice il proverbio? Impara l’arte e mettila da parte, in
fatti tutto ciò che per me e’ nuovo, diverso, pratico mi attira.
Il forno a legna tipico del campo costruito con mattoni
di fango e’ uno spettacolo da far invidia ai migliori pizzaioli dei locali “o
sole mio”, trattiene il calore per giorni e alla sera la brace e’ ancora
caliente e così a volte prepariamo la pizza e diamo un tocco di sapore e colore
italiano al pueblo boliviano.
Io dunque sto bene ed eccomi qui a parlare un po’ di me,
di ciò che sto vivendo, di com’e’ la vita al campo nel pueblo di Tujsuma, di
ciò che mi da’ e mi prende questo vivere la missione.
Ogni esperienza che vivi e’ diversa e ti cambia, e’
vero,… e l’esperienza che sto vivendo a Tujsuma e’ un po’ diversa dall’anno
vissuto ad Arque, mi ero promessa di non fare confronti e paragoni tra i due
cammini, ma non ci riesco e il confronto e’ continuo, sbaglio forse,… non lo
so… Ad Arque ho vissuto in un contesto povero in una comunità viva guidata da
padre Luciano , qui a Tujsuma il pueblo e’ piccolo, isolato, le due suore sono
presenti da pochi anni , la pastorale, l’annuncio, il nostro farci conoscere ed
accettare, tutto e’ agli inizi. Il sentirsi parte di una comunità, proporre e
decidere insieme al pueblo non e’ facile e richiede pazienza ed impegno, tanti
sforzi e i risultati sono pochi.
Ad inizio febbraio sono iniziate le scuole e quindi ha
ripreso a pieno ritmo l’internado, i ragazzi sono tanti (150) e arrivo a sera
che sono un po’ stanca, vorrei leggere, scrivere, ma il sonno prevale e così
anche per il freddo alle nove vado a letto, però recupero un po’ di tempo per
me durante il sabato o la domenica, tempo e spazio per me, seguo il mio istinto
e la gioia di andare incontro alla gente…, qui i sentieri non mancano e così mi
concedo ore di cammino in paesaggi stupendi poi torno a casa riconoscente e
grata a Dios per ogni cosa vista, odorata, contemplata, per ogni incontro
vissuto.
Mi godo la natura nella sua freschezza e
incontaminatezza, così originale e selvaggia come se fosse appena uscita dalle
mani del creatore!!! Ogni giorno sale al cielo il mio grazie per ciò che sto
vivendo, assaporando, per ogni istante dell’esperienza che mi viene donato
vivere, per ogni respiro e battito di cuore.
…..Tutti i bimbi che ospitiamo, i primini, i più piccoli
di 6 e 7 anni mi parlano in chequa , per me e’
e’ inevitabile chiedere aiuto ai più grandi che mi traducono in castigliano,
tutti mi fissano con la bocca semiaperta e quando vedono il mio volto sorridere
per il concetto afferrato ridono pieni di soddisfazione, tutto el comedor
partecipa alla gioia, se poi nessuno sa tradurre bene perché a volte i ragazzi
grandi non sono così disponibili e pazienti, si ride ugualmente al mio no
intiendo, non ablo chequa,… si ride ugualmente ma con meno soddisfazione!!.
Venerdì 20 marzo 2009 Den gracias a Dios en todo momento
Oggi scendiamo in città, approfittiamo della chiusura
delle scuole. In Bolivia una volta al mese le scuole pubbliche chiudono due o
tre giorni per permettere ai maestri di riscuotere lo stipendio, non esiste un
sistema di accredito bancario e così i professori che lavorano al campo, in
città o nella scuola in foresta, devono lasciare il collegio e raggiungere la
città per incassare il mensile.
Chiusa la scuola, chiuso l’internado, si va in città.
Solo alcuni giorni di vacanza e le cose da fare tante: pagare le bollette
all’Elfec (enel Boliviana), incontrare alcuni volontari italiani che dovranno
raggiungerci al campo per montare i pannelli solari, passare al correo per
ritirare la posta , all’Arzobispado , consegnare alla pastoral caritas l’elenco
degli alimenti mancanti per l’internado, telefonare a casa , entrare in un
punto internet, fare la spesa e perché no comperare qualche pasticcino perché
domani e’ il mio compleanno, tutto deciso , tutto programmato!!
Sveglia molto presto, ha piovuto tutta la notte, piove
ancora e c’e’ nebbia. Il mitico toyota 4000 cruiser e’ pronto, oggi siedo in
prima fila accanto a hermana Giovanna
che guida. Affidiamo il nostro cammino (la bellezza di circa 6 ore di jeep)
alla Virgen , mancano pochi minuti alle sette e partiamo.
Fa freddo, c’e’ umidità e nebbia che sale da fondo valle,
ogni due minuti allungo il braccio fino al lato guida e con l’aiuto di uno straccio pulisco il vetro
appannato.
Superiamo la pampa, il jeep scivola sul fango come un
cubetto di ghiaccio sul sapone, suor Giovanna e’ bravissima a sterzare e contro
sterzare, che donna!!
Lasciamo la pampa, il punto più alto a 4000 metri, e iniziamo
la discesa. Il cammino e’ brutto, l’unico lato romantico sono le goccioline di
pioggia sospese sui ciuffi della pampa. Segni di vita zero. Qualche pernice che
attraversa il cammino saltellando veloce veloce spaventata dal rumore del
motore.
Tutto in un attimo, sembra uno scossone più forte del
normale, il jeep si inclina tutto a sinistra,
Hermana Giovanna grida: “il volante, il volante, la ruota, abbiamo perso
la ruota”, l’auto scivola, va da sola, e si ferma inclinata a sinistra, solo io
riesco a scendere rapida, ma non capisco,… guardo il cammino percorso ma non
vedo nessuna ruota, guardo il lato guida, e sì,sì e’ qui la ruota, abbiamo
perso ruota e cerchione, il tutto si e’ conficcato sotto bloccando l’auto nel
suo corso. Noooooooooo e ora!!Chi viene ad aiutarci? Come fare per chiedere
aiuto?
Fa freddo, sono appena trascorse le ore otto, la città e’ ancora
lontana, questi e altri pensieri si accavallano senza una logica precisa, poi
nel guardare l’auto ferma a solo
cinquanta centimetri dall’inizio del burrone dove giù giù scorre il fiume,
aumenta la paura ed entra in circolo lo spavento.
….Ora mi scappa pure la pipì, che strano! Solitamente
quando scendiamo in città a metà cammino ci fermiamo per sosta pipì, las
hermanas sempre mi scherzano perché non irrigo il suolo boliviano anche se il
paesaggio e’ deserto senza l’ombra di una pecora,… ora invece sarà il freddo o
lo spavento, la tenuta e’ al limite.
Decidiamo così: Suor Angela si fermerà al jeep, io ed
Hermana Giovanna scenderemo a piedi fino al pueblo di Kolpa Kaasa , sono meno
di due ore di cammino, lì c’e’ la scuola, il telefono pubblico e il ripetitore,
dovrebbe funzionare il cellulare così da poter chiamare il numero
dell’assistenza.
Comunque vada rimaniamo in accordi che per le tre
torneremo al jeep. A metà pomeriggio dovrebbe passare il camion e se non
avremmo ancora risolto nulla, l’autista e i passeggeri potrebbero aiutarci
perché il cammino e’ stretto e la nostra auto occupa il passaggio.
Il rumore di un motore: la nostra salvezza!!
E’ un jeep con alcuni operati dell’ Elfec che stanno
lavorando alla linea elettrica di alcuni villaggi in quota , si fermano,
parliamo un po’, ci dicono: “han tenido buena suerte hermanas”, mira ”hay el
derrumbe” (avete avuto fortuna, guardate qui c’e’ il burrone), guardano la
ruota e dicono che e’ uscito el seguro del 4x4 con tutto il dispositivo del
freno a disco, cercano di raddrizzare l’auto ma e’ troppo inclinata, si
consultano e poi amareggiati, non tanto per non aver potuto risolvere nulla
quanto per la loro giornata di lavoro persa, salutano e danno la vuelta , che
storia, asi’ es la vida!
Non ci resta che procedere come deciso. Indosso lo zaino,
mi da’ l’impressione di un pizzico di calore in più, e scendiamo di buon passo.
Nessuna delle due parla, silenzio eterno. Al ritmo del respiro e del battito
del cuore la matassa dei pensieri si dissolve prendendo un ordine logico e
penso: se la ruota non avesse fatto da scudo bloccando la discesa dell’auto, e
se fosse successo nel tratto dove la pendenza e’ maggiore o sulla strada
asfaltata in direzione della città dove la velocità e’ più sostenuta?
Ciao compleanno, e già immagino quante parole, troppe
forse,… non bisognava mettersi in viaggio con un tempo così, certo il cammino
era brutto, la suora alla guida non ha
saputo tenere la strada, ,….e invece il tutto solo per colpa di un guasto
tecnico e la poca professionalità del meccanico che ha riparato l’auto a
Cochabamba.
Ancora piove. Raggiungiamo la scuola e chiamiamo
l’assistenza. La signorina che risponde al numero verde dice di avere pazienza,
che girerà la chiamata e al più presto ci farà sapere, ma qui la linea viene e
va, l’auto e’ in bilico, rimaniamo calme e spieghiamo dettagliatamente dove ci
troviamo dando i nomi dei villaggi affinché il servizio di assistenza possa
raggiungerci.
Ci confermano che partirà el gru da Cochabamba, noi
aspetteremo alla scuola dove il cammino si divide: Bolivar e Tujsuma.
Accovacciate al riparo sotto il porticato della scuola, coltiviamo la pazienza.
Sappiamo che gli aiuti arriveranno nel primo pomeriggio, siamo consapevoli
dell’attesa ma ad ogni rumore di motore ci alziamo, falso allarme e’ solo la
flotta per Bolivar, ora una semplice moto, finalmente alle tre del pomeriggio arriva el gru, saliamo in cabina
e indichiamo all’autista il cammino per arrivare al jeep. Faticose le manovre
per fare l’inversione ed agganciare il toyota al traino.
Saliamo sul jeep, il cammino brutto, le mille
oscillazioni, l’inclinazione del jeep al traino, mi pare di essere
sull’aliscafo.
Piove ancora e c’e’ nebbia, sul jeep (trainato a motore
spento) un freddo cane.
Arriviamo in città alle 10.40 della notte.
Ho riportato questa pagina di diario non per lasciare in
ansia amici e persone care ogni qualvolta scendiamo dal campo verso la città,
ne’ per farci considerare piccoli eroi graziati, nooooo assolutamente!!
Ciò che e’ capitato mi ha fatto pensare e riflettere
tanto.
A volte capita di programmare, prevedere, organizzare
ogni attimo di tempo e poi basta poco, non siamo noi e non dipende da noi
decidere il tutto, la mia non so se e’ stata solo fortuna se il destino di
ciascuno e’ già segnato dalla nascita, se per noi non era ancora il momento o
se lassù qualcuno ci ama, io con certezza non lo so.
So che a volte si
e’ convinti di bastare a se stessi e di poter superare i propri limiti con le
nostre sole forze, non e’ così. Credo che solo vivendo con un pizzico di umiltà, misericordia, semplicità di cuore,
forse si riescono meglio ad avvertire e riconoscere le nostre piccolezza,
fragilità, insuccessi, i nostri limiti diventando più aperti e disposti
all’aiuto degli altri e di Dio.
Possiamo anche possedere tutte le migliori cose del
mondo, ma non siamo noi con la nostra buona volontà e i nostri sforzi che ci
rendiamo perfetti, imbattibili, intoccabili, ma e’ la nostra capacità di
lasciare spazio nel nostro cuore all’amore agli altri, e’ questo che ci rende
capaci di grandi cose e di gesti di amore, quelli autentici, preziosi agli
occhi dei nostri fratelli, capaci di tendere una mano e donare uno sguardo, …
pronti a fermarci e dire ancora una volta: grazie!!!!
Nel mese di febbraio, mentre stavo ultimando le pratiche
per il permesso di soggiorno, ci hanno rubato dalla ruota anteriore sinistra il
dispositivo 4x4 ,… l’auto era parcheggiata fuori dall’ufficio immigrazione.
Abbiamo portato l’auto dal meccanico indicatoci dall’assicurazione, qui hanno
smontato, rimontato il tutto, ruota compresa, probabilmente il lavoro non e’
stato fatto nel migliore dei modi.
29 aprile 2009 Un maiale rosa e nero ed un gallo con una sola zampa
Splende il sole. Sono le tre del pomeriggio, i bimbi
stanno tornando da scuola e vanno diretti verso le loro case, tre o quattro ore
di cammino per poi ritornare il lunedì mattina fermandosi con noi tutta la
settimana ospiti all’internado.
Saluto Jesu’,
Wilfredo, Catalina e Santusa, loro vivono a Pariachico , poco più di un’ora di
cammino a piedi da Tujsuma. Decido di accompagnarli per un tratto di strada.
Camminiamo, tutto intorno terreni coltivati, ora le
patate hanno lasciato spazio alle coltivazioni di avena , le pianticelle sono
già alte, anche i girasoli che ho piantato la bellezza di tre mesi fa e che
hanno saputo resistere alla forza dell’acqua e al freddo umido, finalmente
anche se alti poco più di 50
cm stanno fiorendo ( credo siano i primi girasoli nani
della storia!).
Jesus e Wilfredo corrono lungo il sentiero, si fermano,
tornano da me, ripartono, si fermano e mi indicano una cavità nella roccia
ormai seminascosta dai cespugli: e’ l’ingresso di una vecchia miniera e con
aria sicura e di sfida affermano di non avere paura e di poter entrare e
scendere , scendere, cerco di fargli capire che e’ pericoloso , l’entrata e’
stretta , ci sono pietre che possono franare,…grazie a Dio la loro attenzione
ora e’ catturata da un cumulo di terra fine come segatura, esclamano mira!!,
mira Giobana!! Jesus con le dita smuove la terra e in un attimo si scoprono
buchi e gallerie pieni di vita: e’ un formicaio!!
Wilfredo aggiunge: sono malditas, este hormigas pican
fuerte!!Osserviamo così le formiche, le abbiamo disturbate creando caos, il
loro via vai sembra una via del centro della mia città durante il periodo
natalizio.
Seguiamo per un istante gli insetti nei loro spostamenti
veloci e poi torniamo sui nostri passi verso Pariachico.
E’ già tardi, ma i miei amici orgogliosi insistono,
dicono che devo assolutamente visitare il loro pueblo, hanno un maiale rosa e
nero e un gallo con una sola zampa da mostrarmi.
Prometto a Jesus e a Wilfredo che presto andremo a
trovarli, do loro due caramelle, sorridono felici, per due caramelle!!, avendo
poco o nulla sono contenti per quel poco
che loro e’ dato e che sembra così poco e banale ai miei occhi!!
Hasta lunes, il tempo di salutarli e via li vedo correre
lungo il sentiero verso la loro casa.
Lunedì mattina e’ venuto il papà di Jesus giustificando
il figlio perché non sarebbe venuto a scuola in quanto il giorno precedente
aveva lavato i vestiti e non erano ancora asciugati,… mi domando: ha solo un
paio di pantaloni e una sola maglia?Evidentemente sì. Penso ai nostri bimbi con
abiti firmati e coordinati nei colori, i loro capricci e l’imbarazzo nella
scelta del capo di fronte all’armadio strapieno.
Giorni fa e’ venuto il papà di Delia, una bambina che ospitiamo
all’internado. Il padre parlandoci un po’ in chequa e un po’ in castigliano cercava di spiegarci
che Delia era inferma, non poteva venire alla scuola, el toro, el toro continuava
a esclamare!! L’ha forse ferita el toro, no hermanas, i due tori hanno
litigato, uno e’ rimasto ferito e infermo, non può andare al campo a pascolare
e così Delia ogni giorno deve portarle il foraggio marinando così la scuola,…
ma dai che storia!
Capisco, qui il toro e’ più importante della scuola, e’
un piccolo investimento per tutta la famiglia.
Penso ai privilegi di vivere in Italia, andare a scuola
senza dover percorrere ore di cammino a piedi, avere l’acqua calda per lavarsi,
vestiti adeguati alle stagioni, mille comodità e opportunità , penso alla
fortuna che i bimbi hanno di poter giocare e vivere a pieno l’infanzia mentre
qui al campo sudano e lavorano fin da piccoli aiutando nei campi, badando alle
pecore , raccogliendo legna,..
Credo però che i bambini del campo abbiano un grande
vantaggio che possa recare invidia ai nostri: il rapporto costante e genuino
con la natura, un maiale nero e rosa ed
un gallo con una sola zampa, beni preziosi da custodire e mostrare, tanto unici
e preziosi quanto l’ultimo video game ambito, a volte addirittura preteso ai
genitori dai nostri ragazzi!
14 giugno 2009 …saper guardare oltre….
Sono appena passate le otto del mattino quando io ed
Hermana Giovanna lasciamo Tujsuma con l’obiettivo di raggiungere la cima del
Cerro Grande, un monte che ormai ci e’ familiare in quanto questo panettone
verde (credo sia un 4000) che vediamo dalla finestra della nostra cucina, ogni
giorno ci tiene compagnia, ci accompagna dalle luci dell’alba al tramonto del
sole, la luna a volte sembra cullata e appoggiata alla sommità del cerro per
poi salire dolcemente nel cielo.
Lasciamo la strada sterrata e da subito il cammino e’ in
salita e il sentiero ci fa guadagnare rapidamente quota.
Passo dopo passo la fatica si fa sentire, il sole scotta
e abbaglia, una breve sosta, togliamo antivento e felpa, sembra di essere più
leggere e di respirare meglio.
Arriviamo in alto (l’altimetro segna 4030 metri slm) e
camminando in quota procediamo fino al cerro che e’ la nostra meta finale.
Nessun incontro, solo due grandi uccelli bianchi e neri
fermi nei pressi di un piccolo laghetto in parte ricoperto da sottili lastre di
ghiaccio che il sole sta sciogliendo. Blu e verde i due colori dominanti,
sorpresa e gioia i sentimenti che provo.
A lato, dietro, dinnanzi, solo montagne; da quassù
Tujsuma e’ piccola piccola, persa nella vastità del paesaggio, i tetti di
calamina brillano al sole come gocce di acqua, gli eucalipti toccano il cielo,
i loro tronchi slanciati, diritti rompono la profondità del paesaggio.
Montagne di Potosi’, montagne di Oruro, montagne di
Cochabamba, si vedono solo montagne.
Gli occhi e il cuore si impossessano di una immensità mai
vista, incontenibile.
Potrei rimanere ferma, immobile col fiato sospeso, così
assorta a contemplare, ma sono inquieta, volto la testa, apro gli occhi e cuore
con il desiderio di far entrare tutto il bello che mi circonda, questa bellezza
che mi invita a dilatare il cuore ad allungare lo sguardo verso un “oltre”.
Come e’ faticoso salire, concentrare le forze , arrivare
in alto per guardare oltre, come e’ faticoso scendere, fermarsi e spendere
tempo, vivere in una realtà così povera, così piccola dove a volte e’ difficile
vedere oltre, oltre i problemi, le difficoltà della gente, dove il campesino ti
cerca solo se ha bisogno diventando a volte esigente, arrogante, …. Situazioni
difficili da capire, non e’ così facile saper ascoltare le persone nella loro
complessità, non e’ facile in questa realtà lasciarsi sorprendere da loro e
accogliere la loro diversità come ricchezza.
Credo che bisogna avere tanta pazienza e la debolezza di
non avere fretta, siamo chiamate a dare tanto.
Eppure mi rendo conto che nessun pueblo e comunità e’così
estremo, povero, isolato, da non avere piccoli segni di amore, speranza,
tenerezza, segni che l’esperienza quotidiana non nasconde a chi sa tenere
aperti occhi e cuore andando oltre
riscoprendo energie nascoste, senza compiere grandi imprese,
semplicemente amando, donandosi ai fratelli, compartendo con los pobres, si los
hacemos gratis esto es amor!
Luglio 2009 Salita alle rovine Inca
Partenza alle 7.30 da Tujsuma, prendiamo il cammino che
porta nei pressi della comunità di Kalajchullba dove lasceremo il jeep per poi
salire a piedi fino ad arrivare a delle rovine inca.
Ci accompagna Juvenal, un ragazzo del pueblo.
Fa freddo e c’e’ vento forte.
Juvenal ci spiega che le rovine sono state scoperte circa
cinque anni fa, quindi di recente segnalazione, la mancanza di comode vie di
comunicazione e del sentiero (praticamente assente, da inventare!!) per
arrivare fino in cima le lasciano riposare lontano dagli occhi curiosi di folle
di turisti rendendole a noi più preziose e affascinanti. Saliamo, fa freddo, il
vento insistente ora soffia da dietro spingendomi in avanti, ora gelido di
fronte tagliandomi il viso,… mi prende, mi scuote, mi domina con la stessa
forza con cui schiaffeggia i ciuffi della pampa, le nuvole si formano e disfano
in un istante: e’ magico vedere questo spettacolo.
L’altimetro segna 4312 metri slm quando
arriviamo ai margini di un lungo muretto di sassi alto poco più di un
metro e mezzo che cinge la sommità del
cerro, visto dal basso sembra una collana di pietra.
Superiamo il muretto ed entriamo in ciò che doveva essere
una postazione militare inca. Resti di strutture circolari costruite con enormi
pietre rettangolari, due buchi rotondi scavati nella roccia, qui probabilmente
venivano lavorati i metalli,… eccone un altro profondo, forse i resti di un
forno, o un pozzo, chissà!
La vista da qui e’ di 360 gradi, si domina tutto intorno,
si controlla il cammino che porta ad Oruro, Potosi’, Cochabamba,… il paesaggio
e’ bellissimo, manca solo il sole, le
mie mani sono così fredde che a fatica riesco a premere il pulsante per scattare
alcune foto.
Ho un pizzico di timore, non so bene dove posare i piedi,
ho paura,… un senso di rispetto mi spinge a camminare lentamente, dolcemente
calpestando le pietre, cerco di immaginare dando vita a questo posto, chi vi ha
abitato?
Quanta fatica e fedeltà per svolgere il servizio quassù!
Quali i pensieri, i sentimenti, le paure, le gioie, gli amori nella mente e nel
cuore di chi ha abitato queste alture?
Quanta storia e’ passata tra me e loro, una sola
certezza: nel mio attimo di essere qui e nella loro vita in comune tra me e
loro la voce del vento e il rumore del silenzio che ci hanno catturato la mente
e sospeso in un attimo fuori dal tempo.
Ahh come vorrei conoscere gli antenati.
Domandare loro dove trovarono la forza per intagliare la
roccia, dove l’immaginazione di colori dipinti nei vasi,…
Verso dove va o corre, se ha fretta, l’uomo che abita
ancora oggi le altezze?
Quanta saggezza nel premeditato atto della semina. Quante
ore ci vollero per scoprire la dolcezza del mais?
Come si legge il mondo degli oggetti? So che le tue mani
vi lavorarono.
Il sudore poco a
poco scese a fondersi con la bellezza delle opere.
Vite di molti, preziose,
fusero , intagliarono metalli.
Mostrami i tuoi bambini, come
li hai amati?
Perché i tuoi passi furono
veloci?
Raccontami i riti della
semina, le tue feste e le lotte, come furono le lotte?
Devo imparare a bere le tue
lacrime, ma lasciami sapere come ridevi.
Roberto
Aguerre (gli Incas, uomini delle alture)
“La generosità
perché divenga sorgente di vita deve dar luogo ad un incontro vero, uno
sguardo, una parola, un ascolto, e se possibile una comunione di cuori”.
Jean Vanier
BUON ANNO A TUTTI !!
Benvenuto 2010 !
….e così e’ trascorso un anno anche qui lontano da casa,
qui persi nel mondo.
Un anno per me di gratitudine, di mille colori, di
testimonianza, di risposte e fantasie, un anno di sacrifici, preghiere
semplici, volti amici, cielo blu, un anno di stelle cadenti, fotografie, un
anno di pulci sconfitte, cammini spezzaossa, occhietti magnetici caffè, sorrisi
dolci, paure nuove, telefonate che non entrano, nostalgie, un anno di gelide
coperte, abbandono, pagine da scrivere, gioie semplice, desideri, condivisione,
corse in città, speranza, un anno di giorni che volano via, di respiri
profondi, di umidità, di lacrime sincere, di sveglia fissa, di docce veloci, di
burro cacao, di albe sconfinate,…
un anno di mani fredde, voci di bimbi, odore di chicha,
colori di aguayo, caldi abbracci, un anno di Evo cumple, di carezze e giochi
con los ninos, di buenas dias, di pazienza, di trimate, di papas, di incontri,
di cambio gomme, di corse sofferte, di attese dal meccanico,… un anno di
silenzi profondi, di manine tese, di nuovi capelli bianchi, di paesaggi
stupendi, di stelle cadenti, di profumo di eucalipto, un anno di ascolto, di
logiche diverse, di sogni, pensieri, immagini amiche, un anno di carcas e
mariaci, di fitte che attraversano il cuore, di aria gelida in gola, di
emozioni che battono in testa, …. Un anno di mango, di pina e avocado, di
perros malditos, di mate de coca, di mille perché, un anno in missione, un
attimo di vita donata!! grazie!!
Maggio 2010
Pomeriggio abbiamo costruito gli aquiloni con carta
velina e legnetti leggeri recuperati dagli scopini che si usano per pulire il
pavimento, qui prevale l’arte dell’arrangiarsi, anche se purtroppo a volte i
risultati non sono ottimi.
Appena ci sarà sole e vento daremo colore al cielo nella
pampa, speriamo che gli aquiloni prendano il volo liberi di danzare così da
poterli seguire con gli occhi all’insù’, e noi saremo felici di correre,
perdendo per un attimo lo sguardo nel cielo blu di Bolivia.
Sabato 3 aprile 2010 Camminando nella luce - Santa Pasqua
Decidiamo di andare a Bolivar, la comunità salesiana
dell’operazione mato grosso.
Percorrere tutto il cammino a piedi. Partendo il sabato e
rientrando la domenica. Iniziamo il cammino verso Bolivar appena dopo
mezzogiorno, c’e’ sole forte e vento freddo che smorza un po’ il calore del
sole, però appena il vento si calma i raggi scottano, e’ un continuo mettere,
togliere e rimettere cappello e sciarpa.
Solo a piedi mi rendo conto dell’effettiva distanza,
della fatica dell’andare, in macchina il cammino e’ diverso. La dimensione
dell’andare a piedi e’ naturalmente a misura di uomo: incontro persone, mi
fermo, parlo, osservo, cerco di capire,… più da vicino posso vedere le guance
dei bimbi bruciate dal sole, le manine
tagliate dal freddo, mani distese che cercano un pane, segui con gli occhi i
piedini seminudi che corrono tra i ciuffi della pampa. Osservo e mi sento
osservata, mi sento anche un po’ così…, quante comodità e precauzioni ho preso
per percorrere queste 5 ore di cammino: crema da sole, the caldo, scarpe e
calze da trekking, biscotti, … cammino nel silenzio, mi godo i paesaggi, penso
alla Pasqua, al messaggio di salvezza, al trionfo della vita, e penso a queste
persone, ai bimbi incontrati nel cammino, ai loro sacrifici, alla povertà in
cui vivono, credo che siano già dei piccoli beati qui in terra.
Arriviamo alle sette di sera, fa freddo. Camminando pensi
tanto, guardi tanto, vedi oltre. Ho visto cambiare le luci e i colori del
giorno, ho ascoltato il silenzio e i piccoli rumori, le grida dei bimbi nel
richiamare le greggi, ho camminato tra llamas non spaventati della mia presenza,
del mio passo rispettoso e leggero, ho gustato il calore del sole e i brividi
per il freddo improvviso.
cammino verso Bolivar
Alla missione di Bolivar gli abbracci degli amici, il
calore della cucina riscaldata con stufa a legna, un mate caldo, piccole
attenzioni che ci fanno sentire subito a casa e la stanchezza diventa meno
pesante.
Partecipiamo alla veglia celebrata da padre Paolo insieme
ai ragazzi dell’internado di Bolivar, la gioia del Cristo risorto e’ con noi!!.
Lunedì 13 settembre 2010 …Ancora in cammino verso
Bolivar
Ieri il tempo si e’ messo brutto, pioggia e vento molte
forte. Questa notte non ho dormito tanto, non sapevo se partire per Bolivar, le
calamine del tetto vibravano segno che il vento era ancora forte. Verso le sei
del mattino ho guardato il cielo verso Cochabamba, era limpido e così basta
pensieri, decido di partire.
Sono le sette, fuori ci sono due gradi. Il vento e’
forte, mi paralizza, stupidamente non ho preso i guanti e le mie mani sono
ormai bianche e congelate.
Il paesaggio alle luci del giorno e’ bellissimo, vorrei
fotografare verso Cochabamba la catena del Tunari imbiancata, ma aime’ non
riesco neppure ad aprire la cerniera della tasca esterna dello zaino, tiro la
linguetta con i denti, tolgo la macchina fotografica ma per le mani fredde non
riesco a premere il pulsante di scatto, chiudo tutto e torno sui miei passi.
Raffiche forti mi ostacolano il cammino e per procedere devo fare forza con le
braccia come se stessi nuotando. Mi cola il naso, non riesco a respirare bene,
la gola e’ un ghiacciolo. Penso: muoio.
Avvolta nella giacca antivento (spettacolare!) procedo a
fatica. Il sole e’ già alto, sono tre ore che cammino, fa ancora freddo. Mi
prometto che prima di iniziare la discesa verso Bolivar , mi fermerò per
mangiare qualcosa. Pochi incontri lungo il cammino: Andres che lasciato il suo
pueblo raggiunge Tujsuma a piedi per andare a scuola, quattro pernici saltellanti
nella pampa, una quindicina di lama e un campesino diretto a piedi verso
Tacopaya.
Scollino. Riposo un attimo. Finalmente inizio la discesa.
Prevedo di arrivare per mezzogiorno, incontro le case
delle prime comunità, il vento e’ un po’ calato e le mani hanno ripreso a
vivere.
Ecco i greggi, le case in adobe, al fondo vedo anche un
jeep, sì e’ il jeep di padre Paolo, que suerte!! Sono infatti alcuni amici di
Bolivar che stanno montando una porta in legno alla casa di una campesina,
saluti, abbracci, condividiamo pane e banane, … padre Paolo mi dice: brava!!!
Ora sto meglio. A lavoro ultimato la nonnina (avrà circa
cinquanta anni!!) ci regala alcune uova e chiede al padre di montarle anche la
calamina per sostituire il tetto in paglia. Ya, Ya,… salutiamo e con il jeep
raggiungiamo Bolivar.
Avevo paura di intraprendere sola il cammino, ma
nonostante tutto sono riuscita ad arrivare alla meta.
Avevo paura del vento forte, ma la forza di animo ha
vinto. Ho avvertito la mia fragilità di fronte alla forza della natura, sono
convinta che la bellezza del creato mi abbia dato carica.
Avevo timore di perdermi nella solitudine di mille
pensieri scoprendo le paure e le debolezze camminando nell’immensità’ della
pampa, da subito mi sono sentita amata e presa per mano.
Mi fermerò a Bolivar
una quindicina di giorni.
Missione di Bolivar, operazione mato grosso, ..una bella
esperienza a continuo contatto con le persone del posto, visitando le comunità
e cercando di lavorare nel taller con i ragazzi del collegio, guardare
intagliare abilmente il legno da ragazzini di 14 anni, mentre le ragazze
apprendono a tessere e confezionare aguayo.
Ormai sono al termine dei due anni, mi piacerebbe donare
ancora un po’ di tempo ai poveri, l’animo e’ disposto, il cuore aperto, la
mente pronta ma se non vedo nulla di concreto in cui donarmi, io fatico a
procedere…,
Ora sono rientrata a casa a Tujsuma e sono un po’ triste.
Vivo momenti belli di slancio, entusiasmo uniti a momenti di stanchezza, paura,
qualche dubbio e incertezza legati al mio futuro…, ma e’ così che si vive
realmente,…
Ritornata da Bolivar ho preso del tempo mio, in due anni
non era mai capitato, così con zaino in spalla sono andata a La Paz, a
Copacabana, sul lago Titicaca fino all’isla del Sol attraversandola a piedi da
nord a sud con viste bellissime sul lago Titicaca,… poi giù verso sud al salar
de Uyuni, il deserto di sale più grande del mondo.
Le città di Sucre
e Potosi’ , la città più alta del mondo con le sue miniere scavate nelle
viscere del cerro Rico.
Ho bivaccato nel salar a circa quattromila metri e al
mattino siamo saliti sul vulcano Tunupa, niente di difficile a livello
alpinistico, solo il problema dell’altura,… abbiamo raggiunto in quattro ore di
cammino il cratere del vulcano a 5218 metri,… grazie a Dios vivendo da due anni
in quota non ho avuto problemi di altura e a parte il freddo iniziale poi sono
salita bene.
Paesaggio stupendo: e’ un luogo ricco di minerali e
quindi il terreno e’ rosso, ocra, nero, con il contrasto del bianco del salar
giù in basso, l’azzurro del cielo, il verde della pampa, il verde azzurro
dell’acqua delle lagune,… non ho visto tante cose così
belle tutte insieme, dico grazie alla vita per aver potuto ammirare queste
meraviglie, mi hanno un po’ ricaricato.
Manca poco al mio rientro in Italia e ne ho già parlato
con i bimbi e la gente di Tujsuma, cerco loro di spiegare …., è difficile
spiegare sempre mi lasciano parlare e poi mi chiedono: ma quando tu vas a
volver?
No sé, mi piace vedere ciò che la vita mi riserverà.
Grazie di tutto, grazie di cuore
Novembre 2010
Cara Joe non sarà facile rientrare soprattutto dal punto
di vista psicologico o dal punto di vista delle cose che si muovono dentro: ne
so qualcosa. Credo però che la scommessa in quello che facciamo qui o altrove
vada portata avanti in modo totale come fosse definitiva qui e adesso: Dio poi
ci viene sempre incontro o meglio si mostra sempre,… non sempre secondo le
nostre povere aspettative. Padre L.
Ciò che e’ importante non cambia. Se ti manca ciò che
facevi torna a farlo, insisti anche se tutti si aspettano che tu abbandoni.
Madre Teresa di Calcutta.
I poveri non sono strumento per realizzare te stesso, per
dare vita ai poveri bisogna donare un po’ della propria
vita.